Pubblicati da Giuseppe Montanari

SEI INSODDISFATTO DEL TUO LAVORO?

ARTICOLO DEL BLOG:

SEI INSODDISFATTO

DEL TUO LAVORO?

Secondo un sondaggio condotto da Gallup solo il 4% degli italiani si sente appagato e felice del proprio lavoro

Secondo un sondaggio condotto da Gallup solo il 4% degli italiani si sente appagato e felice del proprio lavoro. Questo vuol dire che 96 persone su 100 si sentono insoddisfatte, demotivate o infelici al lavoro. Infatti, se ci guardiamo intorno il mattino in metropolitana o in treno, possiamo notare che la maggior parte delle persone non sembrano felici o entusiaste per la giornata lavorativa che li aspetta. Spesso non è facile definire i fattori precisi che ci rendono infelici, così abbiamo preparato un elenco di possibili cause di insoddisfazione.
E tu sei insoddisfatto del tuo lavoro?

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insoddisfatto al lavoro

E TU SEI INSODDISFATTO DEL TUO LAVORO?

  1. Mancanza di sfide: le persone possono sentirsi annoiate e sotto-utilizzate se il lavoro diventa monotono e privo di sfide, il che può portare a una perdita di interesse e motivazione.
  2. Assenza di riconoscimento: La mancanza di feedback positivo e di ricompense per i risultati ottenuti può far sentire ai dipendenti che i loro sforzi non sono apprezzati o riconosciuti.
  3. Scarso equilibrio tra sforzo e ricompensa: Se i dipendenti sentono di investire più energia e impegno di quanto ricevano in termini di salario, opportunità di crescita o riconoscimento, possono diventare demotivati.
  4. Assenza di significato: se i lavoratori non riescono a vedere il significato o l’importanza della loro attività all’interno dell’organizzazione, possono perdere la motivazione a impegnarsi.
  5. Ambiente di lavoro tossico: Un ambiente di lavoro caratterizzato da conflitti, discriminazione, bullismo o mancanza di collaborazione può avere un impatto negativo sulla motivazione e sul benessere dei dipendenti.
  6. Mancanza di controllo: quando i dipendenti non hanno la possibilità di influenzare le decisioni che riguardano il proprio lavoro o non possono prendere decisioni autonome, possono sentirsi privi di potere e poco motivati.
  7. Difficoltà nella gestione vita-lavoro: una delle cause di demotivazione può essere la difficoltà nel definire i confini tra il lavoro e la vita personale o una corretta pianificazione delle proprie attività.
  8. Obiettivi irraggiungibili: L’assegnazione di obiettivi troppo ambiziosi o irrealistici può portare a sensazioni di frustrazione e demotivazione quando i dipendenti non riescono a raggiungerli.
  9. Paura del fallimento: spesso nelle aziende è diffusa una cultura di non tolleranza del fallimento e dell’errore, considerandoli come insuccesso invece che come opportunità di apprendimento e crescita.
  10. Paura del cambiamento: il lavoro è spesso considerato come una delle fonti principali di sicurezza, poichè garantisce una stabilità economica e un riconoscimento sociale. Ma quando non ci sentiamo più allineati ad esso, a volte, può risultare difficile prendere coraggio e lasciarlo per trovarne uno che ci appaghi maggiormente. Rimaniamo ancorati ad una situazione che non ci fa stare bene solo per paura di quello che potrebbe succedere cambiando.

insoddisfatto del proprio lavoro

PER RIASSUMERE

Per riassumere, possiamo dire che queste 10 cause di insoddisfazione lavorativa possono essere categorizzate in tre aree:

  • Cause personali: comprendono tutte le situazioni in cui siamo noi stessi che ci sabotiamo o interpretiamo in un certo modo quello che capita in base alle nostre convinzioni.
  • Cause relazionali: rappresentano tutte quelle situazioni in cui il problema nasce dalla relazione diretta con i colleghi o con i superiori
  • Cause culturali: ovvero quelle dinamiche disfunzionali che fanno parte della cultura dell’azienda da molto tempo e che diventano difficili da modificare.

Alla luce di quanto emerso, sei insoddisfatto del tuo lavoro? Ti rivedi in alcune di queste situazioni?

La domanda che sorge spontanea è “C’è una responsabilità della leadership dietro queste cause di insoddisfazione?“.
Ovviamente la risposta è si!

Probabilmente ci sono delle abilità necessarie per andare incontro a questi gap che non sono state abbastanza sviluppate (le abbiamo viste nel nostro articolo sulla “nuova leadership“) e che necessitano di uno specifico allenamento. Insomma capi “incompetenti” sono causa di molte delle insoddisfazioni dei collaboratori. Approfondiremo alcune interessanti riflessioni su questo punto nelle prossime puntate della newsletter… quindi stay tuned!

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Il cambiamento: a sentirlo nominare, molti di noi si irrigidiscono.
C’è chi lo vive come una minaccia, chi come un fastidio, chi addirittura come un terremoto che arriva a scompigliare tutte le certezze. È normale: siamo programmati per cercare stabilità, e il nostro cervello ama le abitudini perché le associa a sicurezza.

Il problema è che la vita non chiede mai il permesso. Cambia e basta. Cambia il contesto, cambiano le persone attorno a noi, cambiano i nostri bisogni, cambiamo noi stessi. Possiamo scegliere se restare ancorati alla riva o se provare a cavalcare l’onda.


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DALLA SPIAGGIA ALL’UFFICIO: SUPERARE IL POST-HOLIDAY BLUES CON ENERGIA

Eccoci qui: settembre, l’agenda che torna a riempirsi, la casella mail che sembra esplodere e la sveglia che non perdona. Dopo giornate di mare, montagna o semplicemente di divano e relax, il ritorno al lavoro può sembrare un po’… traumatico.

Se in questi giorni ti senti rallentato, malinconico o con la testa ancora sotto l’ombrellone, non preoccuparti: non è pigrizia, non è “perdita di motivazione” e non sei l’unico. È il famoso post-holiday blues.


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SOPRAVVIVERE ALLA CORSA PRE-FERIE SENZA STRAMAZZARE

C’è una corsa che tutti conosciamo molto bene, anche se non ci alleniamo da anni.
È la corsa finale prima delle ferie:
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Risultato?

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Hai bisogno di un nuovo punto di vista (e di una metafora che ti aiuti a rallentare con dignità).


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LEZIONI DI LEADERSHIP SOTTO L’OMBRELLONE

Caro leader,

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Ancora un paio di riunioni, una manciata di email, l’ultimo sprint per chiudere tutto… e poi si parte.
Destinazione: vacanza.

Hai già detto a tutti che “anche in ferie butti un occhio”, che “tanto il telefono lo tieni acceso” e magari ti sei pure infilato in valigia tre libri sul management, uno sulla leadership trasformazionale e… la solita agenda, non si sa mai.

Ma sai una cosa una cosa?
Se vuoi, quest’estate puoi imparare più cose sulla leadership di quante ne apprendi in un master.
Sul serio.

Perché la vacanza è uno dei luoghi più sottovalutati per allenare la tua consapevolezza come guida.
È lì che, togliendoti il badge e mettendoti le infradito, puoi vedere aspetti di te che di solito non noti.

Ecco cosa intendiamo.


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LA CONSAPEVOLEZZA NON RISOLVE TUTTO, MA QUASI

Hai presente quei momenti in cui ti sembra di sbattere sempre contro lo stesso muro?

Cambiano i contesti, cambiano le persone, ma certi problemi tornano puntuali come le pubblicità su YouTube.

👉 Sei sempre di corsa e finisci stremato.
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Quando succede, spesso scatta la missione: “devo trovare una soluzione”.
Spoiler: a volte non ti serve una soluzione, ma una lente di ingrandimento.
E quella lente si chiama consapevolezza.


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IL LATO OSCURO DELLA DELEGA: MICROMANAGEMENT

ARTICOLO DEL BLOG:

IL LATO OSCURO DELLA DELEGA:

MICROMANAGEMENT

Ma come possiamo capire se stiamo cadendo in questa trappola e quali sono gli effetti negativi che questo può comportare?

Spesso, durante i nostri corsi sulla delega, constatiamo che alcuni partecipanti pensano di saper delegare in modo efficace, ma poi approfondendo meglio scopriamo che molte volte ciò che delegano sono compiti come fare il caffè o le fotocopie.

Questo atteggiamento può essere un campanello d’allarme per un problema più grande: il micromanagement. Ma come possiamo capire se stiamo cadendo in questa trappola e quali sono gli effetti negativi che questo può comportare?

In questo articolo andiamo ad esplorare il lato oscuro della delega.

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PONITI QUESTE DOMANDE PER CAPIRE SE STAI ADOTTANDO QUESTO COMPORTAMENTO

Per capire se stai adottando un approccio di micromanagement, puoi porti alcune domande chiave:

  1. Il tuo team riesce a lavorare senza di te? 
    Se il tuo team sembra dipendere costantemente dalla tua presenza e non riesce ad operare autonomamente, potresti essere coinvolto in una forma di micromanagement.
  2. Chiedi aggiornamenti ogni giorno o più volte al giorno?
     Se senti il bisogno costante di ricevere aggiornamenti dettagliati, potrebbe essere un segno di una mancanza di fiducia nel team e un desiderio di controllo eccessivo.
  3. Il tuo team non prende mai iniziativa?
     Se i membri del tuo team sembrano titubanti nel prendere iniziative o nel assumersi responsabilità, potrebbe essere un segno che stai limitando la loro autonomia.
  4. Esitano sempre prima di prendere una decisione?
     Se noti che i membri del tuo team sono insicuri nel prendere decisioni senza il tuo input costante, potrebbe essere un segno che non si fidano delle proprie capacità.
  5. Non ti senti a posto se non hai il controllo della situazione?
     Se provi ansia o disagio quando non sei al comando di ogni dettaglio, potrebbe essere un segnale che stai affrontando il micromanagement.
  6. Ti capita di rifare il lavoro che avevi delegato? 
    Se ti ritrovi costantemente a rivedere e a rifare il lavoro dei tuoi dipendenti perché non corrisponde esattamente alle tue aspettative, potrebbe voler dire che devi risolvere qualche tematica legata al micromanagement.
  7. Ti concentri di più su come il lavoro viene fatto rispetto ai risultati? 
    Se il tuo focus principale è sul controllo dei processi piuttosto che sul raggiungimento degli obiettivi e dei risultati, potrebbe essere un altro segnale del micromanagement.

micromanagement

SE HAI RISPOSTO ALMENO CON UN SI È POSSIBILE CHE TU STIA FACENDO MICROMANAGEMENT

Se hai risposto sì a una o più di queste domande, è probabile che tu stia facendo micromanagement. È importante fermarsi e fare un’analisi critica del motivo che ti porta a comportarti in questo modo. Il micromanagement, sebbene possa sembrare un approccio di gestione dettagliato e diligente, può avere effetti negativi significativi sull’efficacia e il benessere complessivo del team. Questa pratica spesso porta a una serie di conseguenze dannose che vanno oltre il controllo eccessivo dei processi:

  • Stress elevato: La necessità di controllare ogni dettaglio può causare stress sia per te che per i membri del tuo team.
  • Mancanza di fiducia: Il micromanagement comunica ai tuoi dipendenti che non hai fiducia nelle loro capacità, compromettendo così la fiducia reciproca.
  • Relazioni deboli: La mancanza di fiducia e autonomia può danneggiare le relazioni tra manager e collaboratori, creando un ambiente lavorativo poco armonioso.
  • Dimissioni: Le risorse potrebbero sentirsi frustrate e sottovalutate e potrebbero essere portate a cercare nuove opportunità di lavoro altrove.

  • Basso morale del team:
     La mancanza di fiducia e autonomia può portare a un calo della motivazione e del morale del team.
  • Bassa spinta alla crescita: Quando i membri del team non hanno l’opportunità di prendere iniziative e sviluppare le proprie competenze, la crescita e lo sviluppo possono essere compromessi.
  • Frustrazione crescente: Le persone possono sentirsi frustrate e demotivate quando non hanno la libertà di fare il proprio lavoro in modo efficace e autonomo.
  • Poca creatività: Il micromanagement può soffocare la creatività e l’innovazione, limitando così il potenziale del team. I collaboratori saranno spinti ad uniformarsi allo status quo.
  • Ridotta produttività: Contrariamente all’intenzione, il micromanagement spesso porta a una riduzione dell’efficienza e della produttività, poiché i collaboratori non percepiscono il proprio valore e la propria autoefficacia.

Ora che hai capito quali sono i sintomi e gli effetti negativi di un sistema di delega poco efficace, è venuto il momento di analizzare attentamente il tuo approccio alla delega. Sei in grado di promuovere un ambiente di lavoro sano e produttivo? Il tuo team è in grado di agire autonomamente e prendersi le responsabilità per i risultati?  Se senti che ci sono ancora miglioramenti da poter fare, l’appuntamento è la prossima settimana, in cui andremo ad approfondire come poter evitare il micromanagement nel nostro contesto… stay tuned!

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I 10 SINTOMI DI UNA LEADERSHIP CHE NON FUNZIONA

ARTICOLO DEL BLOG:

I 10 SINTOMI DI UNA LEADERSHIP

CHE NON FUNZIONA

Vediamo i 10 errori più comuni che, spesso involontariamente, fanno del male al proprio team e alla propria azienda.

Ricoprire un ruolo di leadership non è facile.

Spesso si rischia di andare incontro ad almeno uno dei 10 sintomi di una leadership che non funziona.

Rendersi conto che ci sono degli aspetti da migliorare è il primo passo verso una leadership efficace.

Vediamo i 10 errori più comuni che, spesso involontariamente, fanno del male al proprio team e alla propria azienda.

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DIFFICOLTÀ NELLA GESTIONE DEL TEMPO E DELEGA

I leader che non riescono a gestire il proprio tempo tendono ad accentrare tutto il lavoro su di loro.

 Percepiscono tutte le attività come urgenti, senza rendersi conto che in questo modo non stanno dando priorità a niente.

La conseguenza principale è l’incapacità di delegare ai propri collaboratori alcune di queste attività o fare del micro-management senza lasciar loro lo spazio e la libertà di agire.

Un leader di questo tipo tende a subire lo stress derivante dall’incapacità di far fronte alle scadenze e costantemente si lamenta del poco tempo che ha a disposizione

MANCANZA DI INTELLIGENZA EMOTIVA

L’intelligenza emotiva è la capacità di un leader di riconoscere e gestire le proprie emozioni e quelle dei propri collaboratori.

Quando non comprendiamo le nostre reazioni e non siamo in grado di controllarle, non le riconosciamo nemmeno negli altri.

 Questa mancanza può essere pericolosa per le dinamiche di un gruppo di lavoro e può generare livelli di coinvolgimento scarsi e turnover elevati, con i relativi costi legati alla ricerca e all’ingresso di nuovo personale.

Questo spesso provoca sbalzi emotivi sensibili, con eccesso di rabbia, entusiasmo, pessimismo e incapacità di entrare in empatia con i collaboratori.

MANCANZA DI FEEDBACK

Il feedback è uno strumento prezioso perché ci permette di migliorare continuamente le nostre performance, ma in molte aziende questo si riduce ad un incontro annuale tra capo e collaboratore, senza che questo venga accompagnato da una rilevazione regolare e quotidiana di eventuali problematiche.

Oppure viene dato nel modo sbagliato, concentrandosi su un giudizio altamente soggettivo, rimanendo generici e senza entrare nello specifico di cosa effettivamente vada corretto, o ancora, viene dato nel setting e nel momento sbagliato.

Questo vale anche per il feedback di apprezzamento, infatti molti leader danno per scontato che, quando le cose vanno bene, le persone abbiano semplicemente fatto il loro dovere.

Saper mettere in evidenza ciò che funziona, tanto quanto quello che va migliorato o modificato, è essenziale per una buona leadership. I leader che hanno difficoltà nel dare i feedback ai propri collaboratori spesso non lo richiedono loro stessi e si lamentano per la mancanza di feedback.

STILE AUTORITARIO

Un leader autoritario è focalizzato sulle mansioni da svolgere, è controllante, orientato verso il potere, coercitivo e punitivo, ha una mentalità chiusa ed è arbitrario nelle decisioni.

È una persona che pretende obbedienza, lealtà e si aspetta che tutti rispettino le regole alla lettera.

Uno stile di leadership autoritaria può essere efficace sul breve periodo, per affrontare una crisi, per dare via ad una svolta, per smuovere collaboratori problematici e in tutte le situazioni di emergenza dove il leader deve dare direttive precise, ma sul lungo periodo questa tipologia di leadership può impattare in modo molto negativo sul clima organizzativo.

Un leader autoritario è poco propenso all’ascolto e tende a lamentarsi del fatto che i collaboratori non lo seguono nelle modalità da lui richieste.

OSTACOLARE IL CAMBIAMENTO

I cambiamenti possono spaventare, ma sono essenziali per continuare ad esistere.

Uscire dalla propria zona di comfort e aprirsi verso l’esterno è la strategia vincente per rimanere competitivi sul mercato.

Molti leader nascondono le proprie insicurezze dietro alla frase tossica “Abbiamo sempre fatto così”.

Agire secondo metodi che si sono automatizzati nel corso del tempo è un modo attraverso il quale le persone riconoscono sé stesse e il proprio operato, si identificano in un dato metodo di lavoro e la richiesta di cambiare appare come l’accusa di aver sempre lavorato nel modo sbagliato.

Spesso i leader che ostacolano il cambiamento si sentono sotto accusa e considerano il cambiamento un attacco personale e tendono a non vedere le mutate esigenze e aspettative dell’ambiente circostante.

COMUNICAZIONE NON EFFICACE

Un buon leader deve comunicare efficacemente con i propri collaboratori al fine di creare un ambiente di lavoro coinvolgente, sano e basato sulla fiducia.

La comunicazione diventa inefficace quando il leader non è assertivo, non espone in modo chiaro gli obiettivi del team o sceglie delle forme comunicative non adatte, che non tengano conto del destinatario, del tempo a disposizione, dell’emotività del messaggio, del grado di interazione necessario e della quantità di dettagli da trasmettere.

 I leader che non comunicano efficacemente tendono a dare la responsabilità del difetto di comunicazione all’interlocutore e si lamentano per la mancanza di ascolto e comprensione.

MANCANZA DI MOTIVAZIONE E COINVOLGIMENTO

I leader demotivati non sono consapevoli delle proprie leve motivazionali e non riescono a trasformare le sfide lavorative in qualcosa di stimolante, di conseguenza non riescono a creare il giusto coinvolgimento nei propri collaboratori.

Questi leader trasmettono demotivazione ai propri collaboratori e dimostrano in ogni occasione alti livelli di pessimismo, tendono ad accusare gli altri per la mancanza di coinvolgimento e hanno difficoltà a cogliere opportunità e sfide.

CULTURA DEL LAMENTO

Molte volte quando c’è qualche problema, i leader danno la colpa a fattori esterni e pensano di non avere la responsabilità di ciò che accade.

Questi pensieri sono tipici della cultura aziendale del lamento, quando capita qualche evento negativo tendono ad incolpare gli altri o trovare una causa che sia esterna. I leader di questo tipo non credono di avere il controllo di ciò che accade e pensano che gli eventi siano il risultato di fattori non gestibili, come il destino e la fortuna.

Il lamento diventa una difesa contro le proprie responsabilità e sfocia spesso in attacchi nei confronti dei collaboratori.

SOSTITUIRSI AI PROPRI  COLLABORATORI

Molte volte i leader tendono a sostituirsi ai propri collaboratori alla prima difficoltà, per mancanza di tempo o perché pensano di aiutarli svolgendo il compito al posto loro.

Non ne favoriscono il processo di crescita e non lasciano lo spazio necessario per provare, sbagliare e imparare dai propri errori. Difficilmente i collaboratori di questa tipologia di leader non riescono a diventare loro stessi leader in quanto non sono abituati a prendersi in carico le responsabilità del loro ruolo.

Questo approccio può avere come conseguenza la mancanza di percorsi di crescita interna dei people leader, quando è necessario promuovere un leader si preferisce cercarlo all’esterno dell’azienda.

NON ACCETTARE ERRORI

Creare un contesto in cui l’errore è visto come qualcosa di negativo, porta alla paralisi dell’azienda.

I leader che non accettano gli errori creano un clima in cui le persone, per paura, non sperimentano, non sono creative, non provano cose nuove.

Tutti cercheranno di rimanere nella loro zona di comfort, perché uscire da questa e portare innovazione è visto come rischioso. Riconosciamo questo approccio quando costantemente vengono ripresi i collaboratori che si assumono dei rischi e commettono degli errori.

Si tende a colpevolizzare e non si evidenzia l’apprendimento generato dall’esperienza vissuta.

Hai riconosciuto alcuni di questi sintomi nei leader della tua azienda?

Per aiutarti ad avere una consapevolezza migliore di come viene esercitata la leadership nel tuo contesto lavorativo abbiamo creato un test di autovalutazione che ti permetta di avere una panoramica sul livello di maturità dei vostri people leader.

Clicca quì per compilarlo.

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COME AFFRONTARE LA GREAT RESIGNATION

ARTICOLO DEL BLOG:

COME AFFRONTARE

LA GREAT RESIGNATION

In questo articolo andremo a vedere come affrontare la Great Resignation

Nelle settimane passate, abbiamo parlato più volte del fenomeno della Great Resignation, ovvero delle “Grandi Dimissioni”.
La pandemia ha radicalmente cambiato il paradigma del mondo lavorativo, portando milioni di persone a riconsiderare le proprie priorità e abbandonare la propria posizione. In questo articolo andremo a vedere come affrontare la Great Resignation.

Un po’ di numeri

Secondo uno studio di McKinsey, il 40% dei lavoratori a livello mondiale è intenzionato a cambiare lavoro nei prossimi 4-6 mesi, il 53% dei datori di lavoro ha affermato di avere un turnover volontario maggiore rispetto agli anni precedenti e il 64% si aspetta che il problema continui, o peggiori, nei prossimi sei mesi.

L’Associazione Italiana Direzione Personale (AIDP) ha pubblicato i dati secondo cui le dimissioni volontarie fra i giovani in Italia toccano il 60% delle aziende. I settori più coinvolti sono quello Informatico e Digitale (32%), Produzione (28%) e Marketing e Commerciale (27%). A scegliere di cambiare lavoro sono soprattutto le persone nella fascia d’età compresa fra i 26 e i 35 anni, che costituisce il 70% del campione analizzato; perlopiù impiegati in aziende del Nord Italia.

Le cause che portano a questa decisione sono diverse e non ancora ben definite, ma vanno dal burnout, alla ricerca di un posto che preservi il benessere, al desiderio di poter avere la possibilità di gestire le giornate di lavoro in modo flessibile difendendo il work-life balance.

In generale, è presente un clima di insoddisfazione tra la popolazione lavorativa.

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COME SI PUÒ FARE PER AUMENTARE LA RETENTION E DIMINUIRE IL TURNOVER?

Le aziende che vogliono contrastare questo fenomeno dovranno puntare sulla cura delle persone. I lavoratori sono alla ricerca di posizioni lavorative che tengano conto del proprio benessere, sono stanche di essere considerate ingranaggi sostituibili di un macchinario. È necessario aumentare il loro coinvolgimento con l’azienda.

IL FLOW AUMENTA LA RETENTION

Un modo per far stare bene le persone al lavoro è aiutarle a raggiungere lo stato di Flow, ovvero quello stato mentale in cui, mentre svolge un’attività, la persona è completamente immersa in una sensazione di concentrazione energica, pieno coinvolgimento e godimento.

La teoria del Flow è stata ideata dal Prof. Csikszentmihalyi e prevede nove elementi fondamentali per riuscire a raggiungere questo stato. Esaminando questi elementi è possibile capire come poter affrontare lo “strisciante disimpegno” che caratterizza la situazione attuale.

  1. Obiettivi chiari: è necessario avere degli obiettivi definiti e precisi da portare a termine. Spesso le persone non sono attratte dall’azienda perché i propri obiettivi non sono chiari, molte volte vengono dati obiettivi numerici e non legati al processo. Aiutare i collaboratori nell’individuazione di obiettivi chiari, precisi, misurabili e condivisi migliora le loro aspettative e gli permette di concentrare il focus su un bersaglio concreto.
  2.  
  3. Bilanciamento sfide e abilità: deve esserci un equilibrio tra le proprie competenze e il livello di difficoltà del compito. Quando questo non avviene si può sperimentare uno stato di noia (le proprie abilità sono maggiori della difficoltà del compito) o in uno stato di ansia (le proprie abilità sono inferiori alla difficoltà del compito). Chi dà le proprie dimissioni solitamente si trova in uno di questi due stati mentali. In caso di noia sarà necessario aumentare sul livello di sfida percepita dal collaboratore in modo da poterlo ingaggiare maggiormente, al contrario in caso di ansia sarà necessario lavorare su un miglioramento delle competenze e delle capacità che comporti un senso di adeguatezza alle sfide lavorative.
  4. Feedback: deve essere specifico e immediato. Spesso il feedback non viene dato o viene dato in modo scorretto, questo può creare delle situazioni di malessere lavorativo che portano la persona ad allontanarsi dall’azienda. La tempestività e la qualità del feedback sono molto importanti perchè ci permettono di capire quanto siamo lontani dai nostri obiettivi. Un collaboratore che riceve un feedback di qualità si sente al centro dell’attenzione e indirizzato nella giusta direzione.
  5. Attenzione focalizzata: quando sono in Flow la mia attenzione è diretta solo a quello che sto facendo, tutte le distrazioni spariscono. Molte volte, purtroppo, mentre si lavora sono presenti molte distrazioni che portano le persone ad interrompere la propria attività. In contesti VUCA (volatili, incerti, complessi e ambigui) i lavoratori sono spesso impegnati in modalità multitasking e hanno difficoltà nel concentrarsi sull’attività del momento, anche per le continue distrazioni derivanti da smartphone e quant’altro. Bisogna aiutare i collaboratori a trovare dei momenti di focus-time privi di distrazioni e di indicazioni contrastanti.
  6. Unione tra azione e consapevolezza: non solo bisogna avere le idee giuste, bisogna anche riuscire a metterle in pratica con coerenza. A volte in azienda manca la coerenza tra ciò che si fa e ciò che si dice dal punto di vista culturale. Da questo punto di vista è importantissimo il ruolo giocato dal management, il leader deve dare esempio con il suo comportamento di allineamento tra strategia e operatività.
  7. Senso di controllo: quando sono in Flow ho il controllo del processo e non sono controllato da esso. Spesso viene a mancare il coinvolgimento dei collaboratori perché non sentono di avere il controllo necessario nel compimento del proprio ruolo e quindi non riescono ad esprimersi liberamente. La modalità del micro-management deve lasciare spazio ad un approccio più fattivo alla delega e all’empowerment.
  8. Perdita della coscienza del sé: quando sono in Flow difficilmente mi occupo dell’opinione degli altri. Tipicamente molti collaboratori nutrono quotidianamente il proprio ego e mettono in atto forme di protezione della propria immagine nei confronti di terzi. Eliminare queste protezioni vuol dire togliere un freno al proprio potenziale e garantire la necessaria tranquillità nel compimento del proprio compito. L’apprezzamento verso i propri collaboratori si deve dimostrare per il raggiungimento di obiettivi concreti piuttosto che per la difesa della propria immagine.
  9. Distorsione del tempo: quando si è concentrati su un’attività, si perde la percezione del passaggio del tempo. Molte persone hanno un carico troppo elevato di lavoro che non gli consente di dedicare l’attenzione necessaria ad ogni compito, oppure non hanno abbastanza attività e quindi si annoiano. Risulta importante lavorare per garantire ambienti lavorativi dove le persone possano far fluire liberamente il proprio impegno e la propria attenzione.
  10. Motivazione intrinseca: quando siamo in Flow apprezziamo quello che stiamo facendo semplicemente per il fatto stesso di svolgere la nostra attività. La ricompensa per il raggiungimento degli obiettivi diventa una mera conseguenza. Spesso nelle aziende non si apprezza il proprio lavoro perchè manca il senso di scopo, le persone si sentono solamente degli ingranaggi e dei numeri. Il periodo attuale ci sta dicendo che l’aspetto economico non è sufficiente a motivare e fare apprezzare l’attività lavorativa, serve di più. Una corretta strategia di retention deve puntare su un allineamento tra valori aziendali e individuali.

Come si evidenzia da questi nove elementi, un approccio basato sul Flow consente di affrontare la forte demotivazione e il disimpegno che sono alla base del fenomeno della Great Resignation. Come introdurre una cultura aziendale basata sul Flow? Noi di CapoLeader abbiamo la soluzione vincente.

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FLIGBY E IL FLOW

Per creare un ambiente lavorativo coinvolgente e stimolante, in cui le persone riescano a raggiungere facilmente lo stato di Flow, serve impegno e allenamento: FLIGBY è lo strumento adatto!
FLIGBY è il primo simulatore di leadership pensato per aiutare i manager a creare un ambiente lavorativo che promuova il Flow. Il vantaggio di un simulatore di leadership è quello di poter sperimentare situazioni reali, che solitamente capiterebbero in molti anni di lavoro, in poche ore di gioco. Nella simulazione ogni giocatore assumerà il ruolo di Direttore Generale di un’azienda, dovrà prendere decisioni difficili, gestire un team di persone, dare e ricevere feedback e sviluppare un modello di leadership basato sul Flow in un contesto simile alla realtà, dove però è possibile sbagliare ed imparare dai propri errori.
Allenarsi a creare un ambiente in cui le persone entrino facilmente in Flow, lavorando sui nove elementi presentati sopra, è utile per riuscire a ricreare nella propria realtà quelle condizioni che aiuteranno le persone a sentirsi coinvolte e motivate, evitando alti tassi di turnover e aumentando la retention aziendale.

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Ma sai una cosa una cosa?
Se vuoi, quest’estate puoi imparare più cose sulla leadership di quante ne apprendi in un master.
Sul serio.

Perché la vacanza è uno dei luoghi più sottovalutati per allenare la tua consapevolezza come guida.
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👉 Sei sempre di corsa e finisci stremato.
👉 Provi a comunicare bene, ma ti capiscono peggio del correttore automatico.
👉 Cerchi di restare zen, ma ti parte l’embolo con la facilità di una notifica WhatsApp.

Quando succede, spesso scatta la missione: “devo trovare una soluzione”.
Spoiler: a volte non ti serve una soluzione, ma una lente di ingrandimento.
E quella lente si chiama consapevolezza.


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IL FEEDBACK: COSA IMPARIAMO DAGLI ATLETI OLIMPICI

ARTICOLO DEL BLOG:

IL FEEDBACK:

COSA IMPARIAMO DAGLI ATLETI OLIMPICI

Il feedback, elemento chiave per il successo degli atleti olimpici,
può diventare un alleato prezioso anche nel mondo aziendale.

Le Olimpiadi sono alle porte e gli atleti di tutto il mondo si stanno preparando intensamente, sia fisicamente che mentalmente, per affrontare la competizione più prestigiosa.

Oggi, nella Palestra del Flow, esploreremo come il feedback, elemento chiave per il successo degli atleti olimpici, possa diventare un alleato prezioso anche nel mondo aziendale.

Nel mondo dello sport di alto livello, il feedback è un elemento essenziale per il miglioramento continuo.

Gli atleti olimpici si allenano con dedizione estrema, accogliendo e cercando costantemente il feedback dei loro allenatori per affinare le loro abilità, correggere errori e raggiungere l’eccellenza.

Questo atteggiamento contrasta nettamente con quello prevalente in molte aziende, dove spesso le persone non cercano attivamente feedback per migliorare le loro performance.

Esploriamo cosa gli atleti fanno bene e perché le aziende dovrebbero prendere spunto da questo approccio.

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LA RICERCA COSTANTE DEL FEEDBACK NEGLI ATLETI OLIMPICI

Gli atleti olimpici sono noti per la loro disciplina e il loro impegno.

Ogni aspetto della loro preparazione è meticolosamente pianificato, ma ciò che distingue veramente un atleta di élite è la sua costante ricerca di feedback. Ecco come e perché questo avviene:

  1. Precisione tecnica: Gli allenatori forniscono feedback dettagliato e immediato su ogni movimento, permettendo agli atleti di fare aggiustamenti in tempo reale. Questo livello di precisione è fondamentale per correggere errori tecnici che potrebbero compromettere la performance.
  2. Adattamento e miglioramento: Il feedback continuo consente agli atleti di adattarsi e migliorare costantemente. Ogni sessione di allenamento diventa un’opportunità per apprendere e crescere, grazie alle indicazioni ricevute.
  3. Motivazione e confidenza: Un feedback positivo rafforza la fiducia dell’atleta nelle proprie capacità, mentre un feedback di miglioramento lo motiva a superare i propri limiti. Questo ciclo di rinforzo positivo è essenziale per mantenere alta la motivazione e l’impegno.

IL FEEDBACK NELLE AZIENDE

A differenza degli atleti olimpici, molte persone nelle aziende non cercano attivamente feedback.

Diverse ragioni contribuiscono a questa situazione: la paura del giudizio e della critica è spesso prevalente nel contesto aziendale, dove un feedback negativo può essere percepito come una minaccia alla propria posizione o reputazione. Inoltre, la mancanza di una cultura aziendale che valorizzi il feedback può rendere le persone riluttanti a richiederlo, temendo che le osservazioni ricevute siano inutili o addirittura dannose.

La carenza di tempo e la pressione costante per raggiungere obiettivi immediati spesso distoglie l’attenzione dall’automiglioramento, rendendo il feedback una priorità secondaria. Infine, la convinzione di sapere già abbastanza, unita a un certo livello di compiacimento professionale, può ridurre la percezione del feedback come uno strumento essenziale per la crescita personale e professionale.

Questi fattori, combinati, creano un ambiente dove il feedback non è adeguatamente cercato o valorizzato, a differenza del mondo sportivo dove è visto come cruciale per il successo.

APPRENDERE DAGLI ATLETI OLIMPICI: VERSO UNA CULTURA DI FEEDBACK

Le aziende possono trarre insegnamenti preziosi dall’approccio degli atleti olimpici al feedback. Ecco alcune strategie chiave:

  1. Promuovere un ambiente di fiducia: creare un ambiente in cui il feedback sia visto come un’opportunità di crescita piuttosto che come una critica. Questo richiede una leadership che promuova trasparenza e rispetto reciproco, modellando comportamenti aperti.
  2. Strutturare il feedback: Implementare processi che garantiscano un feedback regolare e costruttivo. Questo può includere revisioni delle performance periodiche, sessioni di coaching individuali e utilizzo di metodologie consolidate per fornire feedback specifico e tempestivo.
  3. Incentivare la mentalità di crescita: incentivare i dipendenti a vedere il feedback come uno strumento di sviluppo personale e professionale. Questo può essere fatto integrando il feedback nelle pratiche quotidiane e riconoscendo formalmente chi dimostra un impegno nel miglioramento continuo.

feedback

METTITI ALL’OPERA

Per comprendere a fondo l’importanza del feedback e iniziare a integrarlo nella tua routine professionale, ti propongo un semplice esercizio pratico. Prendi un progetto su cui stai lavorando o un compito che hai recentemente completato.

Segui questi passaggi:

  1. Rifletti sull’attività: dedica 5-10 minuti a riflettere su come hai affrontato il progetto. Prendi nota dei punti in cui ti sei sentito sicuro e di quelli in cui hai avuto difficoltà.
  2. Identifica i Feedback provider: elenca almeno tre persone che possono darti un feedback costruttivo su questo progetto. Possono essere colleghi, supervisori o membri del team con cui hai collaborato.
  3. Richiedi feedback specifico: contatta queste persone e chiedi un feedback specifico su aspetti chiave del progetto. Ad esempio, puoi chiedere loro di valutare la tua capacità di gestione del tempo, la qualità del lavoro svolto o la tua collaborazione con il team.
  4. Analizza il feedback: quando ricevi il feedback, analizzalo attentamente. Cerca di identificare i punti di forza e le aree di miglioramento. Prendi nota dei suggerimenti pratici che puoi applicare in futuro.
  5. Pianifica azioni migliorative: sulla base del feedback ricevuto, elabora un piano d’azione per migliorare le tue competenze. Stabilisci obiettivi specifici e misurabili che puoi raggiungere nel breve e medio termine.
  6. Fai un Follow-up: dopo aver implementato le azioni migliorative, torna dalle persone che ti hanno fornito il feedback iniziale e chiedi un riscontro sul tuo progresso. Questo ciclo continuo di feedback e miglioramento è fondamentale per crescere professionalmente.

Questo esercizio ti aiuterà a sviluppare una mentalità di crescita e a migliorare costantemente le tue performance, proprio come fanno gli atleti olimpici.

Gli atleti olimpici dimostrano l’importanza del feedback come strumento di miglioramento continuo. La loro costante ricerca di feedback e la capacità di utilizzarlo per migliorare le loro performance rappresentano un modello di eccellenza. Le aziende che adottano una cultura simile possono beneficiare di dipendenti più competenti, motivati e fiduciosi. Promuovere un ambiente dove il feedback è valorizzato e strutturato può trasformare le performance aziendali, portando l’organizzazione a nuovi livelli di successo.

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