Nelle scorse settimane abbiamo affrontato il tema dell’insoddisfazione lavorativa e delle possibili cause; abbiamo visto l’impatto del Principio di Peter negli ambienti di lavoro ed esplorato l’importanza della definizione del nostro lavoro. Oggi facciamo un passo in più e iniziamo a capire cosa rende le persone felici al lavoro.

Non sono i soldi a rendere soddisfatte e felici le persone, Michael C. Bush ci spiega come il fattore principale si trovi nel rapporto tra leader e collaboratori. In particolare, cercando di implementare queste tre strategie:

  1. Fiducia e rispetto
  2.  Equità
  3. Ascolto

Le aziende che investono nel miglioramento di queste tre strategie possono andare incontro con più facilità ad un aumento della soddisfazione dei dipendenti, una maggiore produttività e una diminuzione del turnover.

Ora che abbiamo visto cosa rende felici le persone al lavoro, possiamo dire che investire sulla formazione dei propri leader è il modo migliore per creare un effetto a cascata di benefici sull’intera organizzazione. Vuoi scoprire come farlo in modo divertente? Manda una mail a contatta@capoleader.com

 

cosa rende le persone felici al lavoro

Oggi partiamo da una domanda apparentemente facile che però sottintende alcune profonde convinzioni che potrebbero limitarci; cercare di capire cos’è per te il lavoro non è affatto scontato e semplice. Ogni tanto faccio questa domanda alle persone che ho di fronte a me e le risposte sono quasi sempre incentrate sui risultati esterni prodotti dal lavoro. Costruire una casa, caricare un camion, vendere un’auto, gestire un’azienda sono dei lavori. Si rimane spesso nella modalità “fare qualcosa”.

Tipicamente le persone associano al lavoro le seguenti definizioni:

  • Ciò che devo fare rispetto a ciò che voglio fare;
  • Ciò che faccio per i soldi;
  • Portare a termine un compito;
  • Fare ciò che il capo mi dice di fare;
  • Le mie attività che associo alle parole “duro” e “impegnativo”;
  • Raggiungimento di un risultato;
  • Obbligo e dovere
  • Responsabilità e affidabilità.

In uno dei precedenti articoli abbiamo preso in considerazione quanto spesso le persone siano insoddisfatte del proprio lavoro, va da se che la definizione che diamo di lavoro è il fattore principale che condiziona la nostra esperienza. La nostra definizione diventa il contesto in cui svolgiamo le attività lavorative e quindi esercita una grande influenza sui nostri pensieri, sentimenti, atteggiamenti e azioni. Il più delle volte le convinzioni derivano dal contesto sociale che abbiamo vissuto e per questo diventano difficili da riconoscere e a maggior ragione da cambiare. Il primo passo è quello di esaminare la nostra definizione di lavoro e quindi ridefinire il lavoro secondo nuovi paradigmi.

Se definiamo il lavoro, un obbligo, un sacrificio, ciò che non vogliamo veramente fare, quali saranno le nostre sensazioni quando lo svolgiamo? Frustrazione, noia, ansia, rabbia come minimo.

Esiste un altro modo per definire il lavoro? Esiste una definizione che generi emozioni opposte a quelli citate poco fa? E’ possibile trovare una definizione che possa farlo diventare fonte di felicità, gioia e coinvolgimento?

Se la tua attuale definizione non ti soddisfa, la base di partenza è capire meglio da dove deriva e soprattutto capire come si è costruita. Può essere utile ripercorrere la propria esperienza lavorativa fin da quando eravamo bambini. Come siamo stati influenzati dal nostro contesto sociale? Come ci è stato descritto il lavoro da genitori, insegnanti e dai nostri capi?

Al nostro interno esistono due motivazioni al lavoro una intrinseca e l’altra estrinseca. La prima dipende da quello che mi piace fare, dalle mie passioni e dalle emozioni positive generate dalla mia attività. La seconda è incentrata sulle aspettative degli altri, sul risultato a tutti i costi, sulla mera ricompensa delle nostre attività.

Se siamo insoddisfatti del nostro lavoro probabilmente abbiamo incentrato la nostra definizione sulle motivazioni estrinseche, sulla soddisfazione degli altri più che di noi stessi. E’ necessario quindi ribilanciare la definizione e includere motivazioni intrinseche che rendano il lavoro fonte di soddisfazione e felicità.

Pongo l’accento sul fatto che stiamo parlando di qualcosa che va al di là del lavoro stesso. Forse siamo insoddisfatti del nostro lavoro proprio perché le nostre aspettative sono sbagliate. Dalla mia esperienza, ogni lavoro può essere fonte di soddisfazione

Abbiamo visto nel precedente articolo sull’insoddisfazione al lavoro che la qualità della leadership ha un impatto importante sulla soddisfazione dei collaboratori; questo concetto è stato analizzato e argomentato attraverso il Principio di Peter. Si tratta di uno studio abbastanza datato, ma molto attuale ai giorni nostri.

Il “Principio di Peter” è un concetto formulato da Laurence J. Peter nel suo libro del 1969 intitolato “The Peter Principle: Why Things Always Go Wrong”. Questo principio è utilizzato nel contesto organizzativo e alla gestione aziendale ed esprime l’idea che le persone tendano ad essere promosse fino a raggiungere il loro livello di incompetenza all’interno di un’organizzazione.

“Ogni membro in una gerarchia tende a elevarsi al suo livello di incompetenza.”

Il principio suggerisce che quando le persone sono impiegate in un’organizzazione, vengono promosse in base alle loro abilità e competenze attuali. Tuttavia, una volta promosse, continueranno a essere promosse fino a quando non raggiungeranno un punto in cui non sono più in grado di svolgere efficacemente le nuove responsabilità e il nuovo ruolo.

Questo accade perché le abilità e le competenze che rendono una persona eccellente in una posizione possono essere diverse da quelle richieste per posizioni di livello superiore. In particolare le abilità richieste non saranno più quelle tecniche, facilmente allenabili con un’adeguata formazione, ma saranno quelle trasversali, anche chiamate soft skill.

A prescindere dall’attendibilità del  Principio di Peter possiamo ricavare i seguenti spunti:

  1. Le organizzazioni rischiano di avere persone in posizioni manageriali che non sono adeguatamente preparate per svolgere il proprio lavoro.
  2. La sida per la crescita della carriera è quella di vincere le resistenze dovute al proprio livello di incompetenza e colmare questo gap.
  3. Chi non è in grado di fare il passaggio precedente rischia di trovarsi nella stessa posizione a lungo, in un’area di probabile insoddisfazione.

Per mitigare il Principio di Peter, le organizzazioni possono prendere in considerazione le competenze e le capacità necessarie per una posizione prima di promuovere qualcuno e dovrebbero fornire formazione e sviluppo per aiutare le persone a crescere nelle loro nuove responsabilità. Nelle maggior parte dei casi queste competenze attengono alle soft skill. I nostri percorsi puntano a migliorare proprio queste abilità attraverso una modalità esperienziale e altamente partecipativa, garantendo alti livelli di apprendimento.

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principio di peter

Secondo un sondaggio condotto da Gallup solo il 4% degli italiani si sente appagato e felice del proprio lavoro. Questo vuol dire che 96 persone su 100 si sentono insoddisfatte, demotivate o infelici al lavoro. Infatti, se ci guardiamo intorno il mattino in metropolitana o in treno, possiamo notare che la maggior parte delle persone non sembrano felici o entusiaste per la giornata lavorativa che li aspetta. Spesso non è facile definire i fattori precisi che ci rendono infelici, così abbiamo preparato un elenco di possibili cause di insoddisfazione.
E tu sei insoddisfatto del tuo lavoro?

  1. Mancanza di sfide: le persone possono sentirsi annoiate e sotto-utilizzate se il lavoro diventa monotono e privo di sfide, il che può portare a una perdita di interesse e motivazione.
  2. Assenza di riconoscimento: La mancanza di feedback positivo e di ricompense per i risultati ottenuti può far sentire ai dipendenti che i loro sforzi non sono apprezzati o riconosciuti.
  3. Scarso equilibrio tra sforzo e ricompensa: Se i dipendenti sentono di investire più energia e impegno di quanto ricevano in termini di salario, opportunità di crescita o riconoscimento, possono diventare demotivati.
  4. Assenza di significato: se i lavoratori non riescono a vedere il significato o l’importanza della loro attività all’interno dell’organizzazione, possono perdere la motivazione a impegnarsi.
  5. Ambiente di lavoro tossico: Un ambiente di lavoro caratterizzato da conflitti, discriminazione, bullismo o mancanza di collaborazione può avere un impatto negativo sulla motivazione e sul benessere dei dipendenti.
  6. Mancanza di controllo: quando i dipendenti non hanno la possibilità di influenzare le decisioni che riguardano il proprio lavoro o non possono prendere decisioni autonome, possono sentirsi privi di potere e poco motivati.
  7. Difficoltà nella gestione vita-lavoro: una delle cause di demotivazione può essere la difficoltà nel definire i confini tra il lavoro e la vita personale o una corretta pianificazione delle proprie attività.
  8. Obiettivi irraggiungibili: L’assegnazione di obiettivi troppo ambiziosi o irrealistici può portare a sensazioni di frustrazione e demotivazione quando i dipendenti non riescono a raggiungerli.
  9. Paura del fallimento: spesso nelle aziende è diffusa una cultura di non tolleranza del fallimento e dell’errore, considerandoli come insuccesso invece che come opportunità di apprendimento e crescita.
  10. Paura del cambiamento: il lavoro è spesso considerato come una delle fonti principali di sicurezza, poichè garantisce una stabilità economica e un riconoscimento sociale. Ma quando non ci sentiamo più allineati ad esso, a volte, può risultare difficile prendere coraggio e lasciarlo per trovarne uno che ci appaghi maggiormente. Rimaniamo ancorati ad una situazione che non ci fa stare bene solo per paura di quello che potrebbe succedere cambiando.

insoddisfatto del proprio lavoro

Per riassumere, possiamo dire che queste 10 cause di insoddisfazione lavorativa possono essere categorizzate in tre aree:

  • Cause personali: comprendono tutte le situazioni in cui siamo noi stessi che ci sabotiamo o interpretiamo in un certo modo quello che capita in base alle nostre convinzioni.
  • Cause relazionali: rappresentano tutte quelle situazioni in cui il problema nasce dalla relazione diretta con i colleghi o con i superiori
  • Cause culturali: ovvero quelle dinamiche disfunzionali che fanno parte della cultura dell’azienda da molto tempo e che diventano difficili da modificare.

Alla luce di quanto emerso, sei insoddisfatto del tuo lavoro? Ti rivedi in alcune di queste situazioni?

La domanda che sorge spontanea è “C’è una responsabilità della leadership dietro queste cause di insoddisfazione?“.
Ovviamente la risposta è si!

Probabilmente ci sono delle abilità necessarie per andare incontro a questi gap che non sono state abbastanza sviluppate (le abbiamo viste nel nostro articolo sulla “nuova leadership“) e che necessitano di uno specifico allenamento. Insomma capi “incompetenti” sono causa di molte delle insoddisfazioni dei collaboratori. Approfondiremo alcune interessanti riflessioni su questo punto nelle prossime puntate della newsletter… quindi stay tuned!

Oggi andiamo ad analizzare il quinto pilastro della “nuova” leadership, ovvero la gestione del tempo.
La gestione del tempo è l’abilità di pianificare e organizzare le attività in modo efficiente al fine di massimizzare la produttività e ottenere risultati soddisfacenti. Una buona gestione del tempo è essenziale per evitare lo stress, completare i compiti in modo tempestivo e raggiungere gli obiettivi personali e professionali.

Come possiamo imparare a pianificare correttamente il nostro tempo?
Possiamo utilizzare la Matrice di Eisenhower, uno strumento di gestione del tempo e di pianificazione delle attività in base all’urgenza e all’importanza di ciascuna.
Incrociando queste due dimensioni otteniamo quattro quadranti:

gestione del tempo

  1. Urgente e Importante: all’interno del primo quadrante andranno inserite le attività prioritarie, che necessitano di essere svolte immediatamente e che non sono delegabili
  2. Non Urgente e Importante: questo quadrante comprende le attività che sono importanti ma non richiedono un’azione immediata. Sono le attività che contribuiscono agli obiettivi a lungo termine, come la pianificazione strategica, l’apprendimento, la pianificazione delle attività future o il miglioramento delle competenze.
  3. Urgente e Non Importante: comprende le attività che sono urgenti ma non contribuiscono direttamente ai propri obiettivi principali. Sono spesso attività di routine, richieste degli altri o interruzioni che possono distoglierti dai compiti importanti.
  4. Non Urgente e Non Importante: questo quadrante comprende le attività che non sono né urgenti né importanti. Sono attività di svago, distrazioni o compiti che non contribuiscono in modo significativo ai propri obiettivi.

Capire in quale quadrante inserire ciascuna attività o compito è fondamentale per poter pianificare correttamente le nostre giornate. Quando invece il tempo non viene gestito in modo adeguato, si può andare incontro alla:

  • mancanza di completamento delle attività
  • procrastinazione
  • sensazione di sovraccarico e stress
  • difficoltà nel concentrarsi
  • mancanza di equilibrio tra vita e lavoro

Quante volte capita di incontrare per i corridoi della propria azienda persone di corsa, in perenne ritardo e agitazione? Questo capita soprattutto quando si passa molto tempo nel quadrante Urgente e Importante della Matrice di Eisenhower. La sensazione che proviamo è quella di non riuscire a stare dietro agli eventi, siamo sempre di corsa e affannati. Proprio come il Bianconiglio, il personaggio della storia di “Alice nel Paese delle Meraviglie”.

La strategia più utile per una gestione gestire efficace è quella di passare la maggior parte del nostro tempo nel quadrante Non Urgente e Importante, lavorando in modo preventivo sui compiti, in modo da evitare che diventino urgenze.
E’ anche molto importante svolgere un solo compito alla volta, dedicandogli la nostra completa attenzione. Questo faciliterà l’ingresso nello stato di Flow e di conseguenza ogni distrazione sparirà, la qualità del nostro lavoro migliorerà e le nostre energie non saranno disperse.
Inoltre, prendersi delle pause tra un compito ed un altro per poter ricaricare le energie diventa fondamentale per il proprio benessere fisico e mentale, ma non solo. Investire in momenti di riposo contribuisce a migliorare la produttività, la qualità, la creatività, la chiarezza mentale e a ridurre lo stress, portando a una maggiore soddisfazione e successo nel lavoro.

Vuoi capire come gestire il tuo tempo in modo efficace? Manda una mail a contatta@capoleader.com per avere più informazioni sui nostri percorsi.