ARTICOLO DEL BLOG:

PERFEZIONISMO:
UNA LAMA A DOPPIO TAGLIO

Scopriamo quanto può essere positivo o negativo il perfezionismo.

Oggi nella rubrica “La Palestra del Flow” vogliamo parlare di un tema molto comune: il perfezionismo.

Il perfezionismo, nella sua essenza, rappresenta il desiderio di raggiungere la massima qualità e accuratezza in ciò che si fa.

 Tuttavia, nel contesto lavorativo, questa caratteristica può manifestarsi in modi diversi, con impatti profondamente differenti sulla produttività e sul benessere personale. 

Esistono due principali tipologie di perfezionismo: quello tossico e quello sano. Capire la differenza tra i due è fondamentale per mantenere un equilibrio positivo tra l’eccellenza professionale e la salute mentale.

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IL PERFEZIONISMO TOSSICO, UNA TRAPPOLA DA EVITARE

Il perfezionismo tossico è un comportamento paralizzante. Si manifesta attraverso una costante insoddisfazione per il proprio lavoro, una paura eccessiva di fare errori e una critica interna estremamente severa. Chi soffre di perfezionismo tossico tende a fissarsi su dettagli minimi, a procrastinare per paura di non fare abbastanza bene e a sentirsi inadeguato anche di fronte a successi evidenti. Questo tipo di perfezionismo non solo limita la produttività, ma può anche avere gravi conseguenze sulla salute mentale, portando a stress cronico, ansia e burnout.

Caratteristiche del perfezionismo tossico:

  • – Critica interna severa: Una voce interiore che non è mai soddisfatta, indipendentemente dal livello di successo raggiunto.

  • – Procrastinazione: La paura di non essere perfetti porta a ritardare il completamento delle attività.
  •  
  • – Paralisi da analisi: Eccessivo tempo speso su dettagli insignificanti.
  •  
  • – Paura del fallimento: Una costante preoccupazione di sbagliare, che ostacola la sperimentazione e l’innovazione.
  •  
  • – Insoddisfazione cronica: Sentimenti persistenti di inadeguatezza, indipendentemente dai risultati ottenuti.

Quando si parla di perfezionismo, vengono subito in mente esempi legati al mondo sportivo, dove la ricerca della perfezione è spesso evidente e le pressioni per eccellere possono essere estreme.

Il perfezionismo tossico nello sport si manifesta quando gli atleti sentono una pressione costante per essere perfetti, spesso sacrificando la loro salute fisica e mentale. Questo può portare a problemi seri come il burnout, infortuni frequenti e ansia da prestazione.

Un esempio è la ginnasta statunitense Simone Biles, che alle Olimpiadi di Tokyo 2020 ha deciso di ritirarsi da alcune competizioni per proteggere la sua salute mentale, parlando apertamente della pressione enorme e delle aspettative che sentiva.

Un altro esempio è il nuotatore Michael Phelps, il più decorato nella storia delle Olimpiadi, che ha condiviso le sue esperienze di depressione e ansia, spesso aggravate dal bisogno incessante di essere perfetto.

Per combattere il perfezionismo tossico, è cruciale adottare strategie che favoriscano una mentalità più equilibrata e costruttiva. Ad esempio, stabilire obiettivi realistici, accettare che gli errori fanno parte del processo di apprendimento e imparare a celebrare i piccoli successi può aiutare a ridurre la pressione interna e a promuovere un ambiente lavorativo più sano.

IL RUOLO DEL FEEDBACK DEL CAPO

Il feedback del capo gioca un ruolo cruciale nel modellare il comportamento dei collaboratori e nel influenzare la loro percezione del proprio lavoro.

Purtroppo, in molte realtà lavorative, si tende a considerare il lavoro ben fatto come un’aspettativa minima, non degna di riconoscimento.

Al contrario, gli errori vengono sempre puntualizzati e criticati.

Questo tipo di dinamica può alimentare il perfezionismo tossico, poiché i lavoratori si sentono continuamente sotto pressione e mai all’altezza delle aspettative.


Impatto del feedback negativo:

  • – Motivazione ridotta: Sentirsi criticati costantemente può erodere la motivazione.
  • – Ansia e stress: La paura di commettere errori può portare a elevati livelli di ansia.
  • – Autostima bassa: La mancanza di riconoscimento positivo può minare la fiducia in sé stessi.

D’altra parte, un responsabile che fornisce feedback equilibrati e costruttivi può aiutare a coltivare un ambiente lavorativo più positivo e produttivo. Il riconoscimento dei successi, insieme a critiche costruttive e supporto, può promuovere il perfezionismo sano.

PERFEZIONISMO SANO, MOTIVO DI CRESCITA

Diversamente, il perfezionismo sano è caratterizzato dal desiderio di migliorare continuamente senza cadere nella trappola dell’autocritica distruttiva. Le persone con un perfezionismo sano tendono a fissare standard elevati ma raggiungibili, e vedono gli errori come opportunità di crescita piuttosto che come fallimenti personali. Questo tipo di perfezionismo è spesso associato a una maggiore produttività, soddisfazione lavorativa e benessere psicologico.

Caratteristiche del perfezionismo sano:

  • – Obiettivi realistici: Fissare traguardi ambiziosi ma raggiungibili.

  • – Feedback di miglioramento: Utilizzare le critiche costruttive come strumento di crescita.
  •  
  • – Resilienza agli errori: Vedere gli errori come parte integrante del processo di apprendimento.
  •  
  • – Senso di realizzazione: Provare soddisfazione per i progressi fatti, anche se il risultato finale non è perfetto.

  • – Crescita continua: Impegno costante nel miglioramento personale e professionale.

Per coltivare il perfezionismo sano, è utile sviluppare una mentalità orientata alla crescita. Questo approccio enfatizza l’importanza dell’apprendimento continuo e dell’adattabilità. Inoltre, incoraggiare la collaborazione e il feedback positivo tra colleghi può creare un ambiente lavorativo dove il miglioramento è visto come un processo collettivo, piuttosto che una sfida individuale.

perfezionismo

L’IMPATTO SULLE DONNE: UNA DOPPIA SFIDA

Per le donne, il perfezionismo al lavoro può essere particolarmente impattante.

Nonostante i progressi fatti verso l’uguaglianza di genere, le donne spesso devono dimostrare di più per essere paragonate ai loro colleghi uomini.

Questo bisogno costante di eccellere può intensificare il perfezionismo tossico, portando a livelli ancora più elevati di stress e ansia.

Sfide aggiuntive per le donne:

  • – Stereotipi di genere: La necessità di combattere contro pregiudizi e aspettative basate sul genere.
  • – Pressione sociale: L’equilibrio tra carriera e responsabilità familiari può aumentare il carico mentale.
  • – Minore riconoscimento: Le donne possono ricevere meno riconoscimenti per i loro successi rispetto agli uomini.

Per superare queste sfide, è fondamentale che le organizzazioni promuovano un ambiente inclusivo e di supporto, dove il merito viene riconosciuto indipendentemente dal genere.

Questo include l’adozione di pratiche di feedback equo e costruttivo, che riconosca e celebri i successi delle donne tanto quanto quelli degli uomini.

UN ESEMPIO DI DIFFERENTI IMPATTI DI FEEDBACK

Immaginiamo due scenari con una lavoratrice che si trova di fronte a una nuova sfida professionale:

Scenario 1: Capo critico e non supportivo

Laura ha ricevuto un incarico complesso. Il suo capo tende a concentrarsi solo sugli errori e raramente offre riconoscimento per il lavoro ben fatto. Ogni volta che Laura commette un errore, il capo lo sottolinea con durezza e senza offrire suggerimenti costruttivi. Laura, già consapevole delle maggiori aspettative che la società impone alle donne, inizia a dubitare delle sue competenze, sviluppa ansia e, temendo di fallire, inizia a procrastinare. Alla fine, l’incarico non viene completato in modo soddisfacente, alimentando ulteriormente il senso di inadeguatezza di Laura.

Scenario 2: Capo supportivo e incoraggiante

Monica ha ricevuto un incarico altrettanto complesso. Il suo capo è noto per offrire feedback costruttivi e per riconoscere gli sforzi del team. Quando Monica commette un errore, il capo la affronta con comprensione, fornendo suggerimenti su come migliorare e complimentandosi per ciò che è stato fatto bene. Monica sente di avere il supporto necessario per crescere e affrontare la sfida con fiducia. L’incarico viene completato con successo, e Monica si sente realizzata e motivata per affrontare nuove sfide.

METTITI ALL’OPERA

Per mettere in pratica quanto discusso nell’articolo, prova questo esercizio:

  1. Riflettiti sul feedback: Pensa agli ultimi tre feedback che hai ricevuto al lavoro. Scrivili e rifletti su come ciascuno di essi ti abbia fatto sentire e su come ha influenzato il tuo lavoro successivo.
  2. Valuta il tuo perfezionismo: Analizza se tendi verso un perfezionismo tossico o sano. Identifica almeno due situazioni recenti in cui hai sentito la pressione di essere perfetto. Chiediti se questa pressione ti ha aiutato o ostacolato, e in che modo.
  3. Obiettivi realistici: Stabilisci due obiettivi realistici e raggiungibili per il tuo prossimo progetto lavorativo. Assicurati che siano specifici, misurabili, raggiungibili, rilevanti e con una scadenza precisa (SMART).
  4. Cerca feedback costruttivo: Chiedi un feedback al tuo capo o ai tuoi colleghi su un recente lavoro svolto. Focalizzati su come puoi migliorare piuttosto che sul risultato perfetto. Prendi nota dei complimenti ricevuti e delle aree di miglioramento suggerite.
  5. Celebra i successi: Annota tre successi che hai ottenuto nell’ultimo mese, anche piccoli. Riconosci il tuo progresso e la tua crescita, e permettiti di sentirti soddisfatto del tuo lavoro.

Ripetere questo esercizio periodicamente ti aiuterà a sviluppare un perfezionismo sano, a migliorare la tua resilienza agli errori e a promuovere una mentalità di crescita continua.

Il perfezionismo al lavoro può essere una lama a doppio taglio: se gestito correttamente, può essere una forza positiva che spinge verso l’eccellenza, ma se lasciato incontrollato, può diventare un fardello che ostacola il progresso e compromette il benessere. Riconoscere e distinguere tra perfezionismo tossico e sano è il primo passo per utilizzare questa caratteristica a proprio vantaggio, creando un equilibrio che permette di raggiungere i propri obiettivi professionali senza sacrificare la salute mentale.

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Il tema della leadership è sempre più sulla bocca di tutti, vengono scritti migliaia di libri ogni anno, esistono corsi di tutti i tipi, centinaia di guru popolano il web e i budget delle aziende sono ricchi di interventi e aspettative per miglioramenti della leadership manageriale.

Come tutte le mode il rischio è di svalutarne il significato e ricondurlo a stereotipi e luoghi comuni. Questa ossessività e stereotipazione induce la massa a pensare che, per apprendere la leadership, basti citare leader famosi o prendere episodi della loro vita come spunto della nostra. Avere dei modelli è utile, ma semplifica troppo il discorso, come se sapere tutto di Steve Jobs, Nelson Mandela o Gandhi possa indurre un manager ad essere un leader migliore. Questo è semplicemente un modo per sentirsi alla moda, non è la realtà, questa è Leadership-porn!

Il porno è l’idealizzazione
del sesso ed è per questo che ha successo; nel porno:

  • Tutti
    gli attori sono bellissimi.
  • Le
    prestazioni sono sempre al massimo
  • Le
    location sono sempre super
  • C’è
    tutto il tempo e la tranquillità per consumare

La vita non
è così! La vita normale prevede anche:

  • Partner
    non fotomodelli
  • Fare
    cilecca
  • Incontri
    in auto o in sistemazioni di fortuna
  • Dei
    pargoli che compaiono sul più bello…

Questa è la
differenza che c’è tra la leadership che si legge nei libri e la vita
manageriale di tutti i giorni. Ed è per questo che diventa difficile
trasformare degli ottimi spunti di leadership in azioni concrete da fare nel
quotidiano.

Prepararsi ad essere un buon leader non è qualcosa per essere alla moda del momento, non è un fine esercizio di idealismo, non è replicare lo stile di un personaggio famoso, né tantomeno ripetere slogan e citazioni.

Prepararsi
ad essere un buon leader ha a che fare con la volontà di sporcarsi le mani, con
l’aprire la mente, con il contenimento dell’Ego, con il focus ossessivo rivolto
al lavoro, con l’instaurare proficue relazioni umane con chi abbiamo intorno a
noi, con la gestione della propria emotività e della complessità e soprattutto
con la generazione di un clima di fiducia. Insomma prepararsi alla leadership è
lavorare sul proprio settaggio mentale e predisporlo ad agire in modo efficace
in un contesto turbolento.

Cambiare la propria mentalità non è semplice, perché richiede esperienza in ciò per cui siamo meno portati. Se non ci avvaliamo di un approccio “dall’esterno verso l’interno”, l’immagine che abbiamo di noi stessi e quindi i nostri schemi abituali di pensiero e azione resteranno limitati alle nostre esperienze passate. Nessuno è più bravo di noi stessi ad affibbiarci un’etichetta.

Il paradosso del cambiamento è che l’unico modo per imparare a pensare diversamente consiste nel fare proprio le cose che la nostra mentalità abituale ci impedisce di fare.

Questo è il fulcro della filosofia di CapoLeader, per iniziare a pensare come un leader occorre agire.

  • Tuffati
    in nuovi progetti;
  • Confrontati
    con una vasta gamma di persone;
  • Sperimenta
    nuovi modi di fare le cose;
  • Dai
    la possibilità a chi collabora con te di esprimersi
  • Chiedi
    aiuto e apprezza il supporto che ricevi dagli altri.

Soprattutto, non rimanere fermo e inattivo, prendi decisioni e fai il primo passo nel tuo percorso di Leadership.

Parti subito il tuo percorso di Capoleadership con la miniguida per nuovi capi

Diventare CapoLeader attraverso il gioco

Nella comune concezione il gioco e il lavoro sono in antitesi: il primo è un’attività che non porta a risultati concreti, il secondo ha il fine di raggiungere obiettivi e profitto.

E’ utile però ribadire che il gioco non è una perdita di tempo,  anzi esso ha sempre una finalità e offre a chi lo pratica molti benefici. Quali? Di seguito passiamo in rassegna i maggiori.

Benefici sul piano biologico. Il gioco ha influenza sullo sviluppo celebrale, il cervello controlla il gioco e ne stabilisce le regole. All’aumentare della complessità del gioco si formano reti neurali per mettere il cervello in condizioni di gestirla. “Il gioco è come un fertilizzante che favorisce la crescita del cervello. E’ sciocco non farne uso!” (Stuart Brown)

Benefici sul piano sociale. Il gioco aiuta a regolare le risposte emotive agli stimoli che arrivano dall’esterno. Ci prepara a gestire avvenimenti improvvisi e a sviluppare capacità di reazione, migliorando le relazioni sociali. Si assumono diversi ruoli, si coopera con altri individui, si contestano decisioni, si risolvono problemi. “Il gioco ci apporta l’ironia con la quale gestire il paradosso, l’ambiguità, e il fatalismo. Nutre le radici della fiducia, dell’empatia, della sollecitudine e della condivisione” (Stuart Brown).

Benefici sul piano dello sviluppo personale. Il gioco ci aiuta a mettere alla prova le nostre abilità, a esercitare i nostri talenti, che in tal modo si affinano. Attraverso il gioco, l’apprendimento e la memoria si sviluppano in modo più stabile e duraturo. In un contesto sicuro possiamo più facilmente correre rischi senza averne paura, possiamo immaginare al di fuori degli schemi e realizzare ciò che appare possibile. “Quando smettiamo di giocare, smettiamo di crescere e in quel momento prendono il sopravvento le leggi dell’entropia….  tutto si sfalda”.

Benefici sul piano linguistico. Il gioco ci aiuta a migliorare il nostro lessico e ad inserire e affinare il linguaggio per meglio descrivere le interazioni che avvengono nel suo contesto. Si sta diffondendo sempre di più nelle nostre scuole l’approccio glottodidattico ludico per imparare nuovo lingue.

Insomma il gioco è in grado di dar vita a diverse dinamiche di miglioramento. Pertanto il suo utilizzo nella formazione permette l’ottenimento di risultati insperati  rispetto ai metodi tradizionali. La teoria del gioco serio, cioè l’utilizzo del gioco in contesti non ludici è pertanto un volano per la facilitazione del pensiero, dell’emersione di nuove idee e per l’approccio al problem solving. La metodologia LEGO® SERIOUS PLAY® ne è un esempio.

Il workshop LEGO® SERIOUS PLAY® è una riunione volontaria di più persone finalizzata all’applicazione dell’immaginazione, con schemi ludici, in un contesto non ludico. Esso riguarda l’esplorazione e la predisposizione, non l’implementazione. I mattoncini LEGO® diventano il linguaggio comune per esprimere e condividere le proprie idee.

Una delle possibili applicazioni della metodologia è associata alla costruzione di nuove identità o l’evoluzione di quelle preesistenti. L’esecutore individuale nel suo processo di transizione alla figura di CapoLeader ha proprio bisogno di supporto, di scoprire dentro di sé le risorse necessarie a ispirare, guidare e sviluppare il proprio team.

I mattoncini Lego® diventano così una nuova forma di linguaggio per esprimere le proprie emozioni, liberare il pensiero e concretizzare i passaggi principali dell’evoluzione del ruolo di capo.

Il CapoLeader ha tanti follower

Cos’è Capoleader? o più propriamente chi è un Capoleader?

Con questa parola che ho inventato voglio racchiudere un’entità innovativa, che diventerà per te e per molte altre persone come te, un obiettivo da raggiungere. Non è semplice nella tua carriera professionale all’interno della tua organizzazione quel passaggio da esecutore individuale a capo. Ci sono studi che ci dicono che l’80% dei manager alla prima esperienza in un ruolo di responsabilità non sono stati abbastanza preparati. Lo stesso studio dice che il 60% di loro fallirà entro i due anni dalla promozione, molti dei sopravvissuti non avranno performance esaltati proprio per le cattive abitudini apprese in questi primi 2 anni. Solo il 25% del totale riuscirà ad eccellere e ad uscire irrobustito dal processo di transizione. Ecco questi valorosi hanno percorso con successo il loro cammino per diventare CapoLeader. Obiettivo di CapoLeader.com è di aiutare le circa 20.000 persone che ogni anno in Italia diventano capi per la prima volta nel loro cammino verso il successo Manageriale.

Cosa vuol dire CapoLeader?

E’ l’unione di due parole che rappresentano due distinte entità che devono essere presenti nei nuovi capi di successo:

  • CAPO. In questa accezione il capo è sinonimo di Management;
  • LEADER. Sinonimo di Leadership

Che differenza c’è tra l’una e l’altra di queste caratteristiche? A questo proposito ci viene in aiuto una definizione di Peter Drucker:

“Management è fare le cose bene; Leadership è fare le cose giuste”

La prima caratteristica rappresenta l’efficienza nel salire le scala del successo, la seconda pone il suo focus nel comprendere se la scala è appoggiata al muro giusto. Per chiarire è opportuno introdurre una metafora densa di significato. Immaginiamo una barca a vela con tre tipi di membri dell’equipaggio, il primo sono le braccia e i muscoli che muovono le cime e alzano e abbassano le vele (forza lavoro), il secondo è il cervello che organizza il lavoro delle braccia (management), il terzo è colui che sta sopra all’albero maestro e controlla se la rotta è corretta e vede l’obiettivo finale (strategia).

Succede, specialmente nelle aziende, che se dall’alto arriva l’ordine “Cambiamo rotta stiamo andando dritti su una secca!”, dal basso arrivi la risposta “Zitto che qui stiamo trovando un bel vento favorevole”. Si è così occupanti nella ricerca dell’efficienza a tutti i costi che ci si dimentica dell’aspetto fondamentale: l’efficacia

Insomma il contrasto è tra azione e visione o efficienza ed efficacia.

Essere visionario e ispirare gli altri con il proprio atteggiamento è il tuo fine ultimo in qualità di leader. Su CapoLeader.com potrai identificare quali cambiamenti d’atteggiamento mentale è corretto affrontare e potrai allenarti per aggiungere alle doti che ti porteranno a passare da esecutore individuale ( affidabilità, impegno, competenza e capacità di lavorare duramente) a CapoLeader.

Perché ora, che sei da poco capo, è così complesso esser CapoLeader? La risposta è molto semplice molto spesso Mangement e Leadership sono i due estremi possibili delle scelte a disposizione. L’una esclude o complica l’altra. Il CapoLeader ha successo perché ha sviluppato la sensibilità necessaria per scegliere correttamente il compromesso tra i due estremi a seconda della situazione contingente.