Abbiamo più volte affrontato in nostri precedenti articoli il concetto di realtà VUCA ossia ad alta volatilità, incertezza, complessità e ambiguità. In particolare:

  • Volatile. La realtà è soggetta a cambiamenti rapidi, frequenti e significativi.
  • Incertezza. Situazione in cui gli eventi e i loro esiti sono imprevedibili e per i quali è difficile prepararsi.
  • Complessità. I problemi non possono essere risolti senza compromettere gli interessi di uno o più stakeholder.
  • Ambiguità. Gli eventi e i messaggi che li riguardano possono essere interpretati e compresi in più di un modo, rendendo difficili le decisioni.

Sono ormai due anni che con questo termine di origine militare e queste 4 caratteristiche dobbiamo convivere perché il VUCA sintetizza appieno la nostra nuova realtà. Molti di noi, anche in questo contesto, sono alla ricerca di stabilità, certezze e chiarezza e vengono sconfitti e frustrati quotidianamente da forze difficilmente controllabili. Mai come ai giorni nostri sono necessarie abilità diverse da quelle che siamo sempre stati abituati ad utilizzare. E’ necessario un approccio diverso e lo sviluppo di una nuova tipologia di competenze e risorse.

Il modello delle due intelligenze

 

 

Ci viene in aiuto il modello delle due intelligenze di Cattel elaborato negli anni ‘60. Cattel afferma che esistono due intelligenze:

  • L’intelligenza cristallizzata si riferisce ai prodotti dell’istruzione o della conoscenza acquisita; è rappresentata da tutto quello che abbiamo imparato a scuola o a lavoro e tipicamente si esprime quando si risponde alla domanda “parlami di XXX”.
  • L’intelligenza fluida rappresenta la capacità biologica di base dell’apprendimento (inclusa la capacità di acquisire nuove abilità) e si dimostra affrontando situazioni nuove e impreviste e adeguandosi alla complessità e volatilità ambientale.

La nostra ricerca della normalità, della certezza e del controllo è dovuta al fatto che proprio in contesti di questo tipo risulta vincente l’intelligenza cristallizzata. Essa si basa su una risposta organizzata ad uno stimolo che abbiamo già vissuto e che la nostra memoria riesce a processare correttamente. Va da sé che in un mondo VUCA l’utilizzo di questo tipo di intelligenza è del tutto inefficace e genera innumerevoli controindicazioni anche di carattere psicologico (ansia, stress, paura e indecisione).

In un contesto VUCA si rivela vincente un approccio legato all’intelligenza fluida perché si basa su una predisposizione ad apprendere dall’errore, sperimentare, prendere rischi e al convivere con la complessità. L’intelligenza fluida normalmente è associata all’elevata neuroplasticità (la capacità del nostro cervello ad apprendere e a generare sinapsi), ad un utilizzo più veloce e pronto della memoria e alla capacità di focalizzare l’attenzione ed evitare le distrazioni.

La domanda a questo punto sorge spontanea, è possibile allenare l’intelligenza fluida?

Secondo Cattel l’intelligenza fluida arriva al suo apice tra i 20 e i 30 anni successivamente comincia a decrescere. Sembrerebbe che oltre questa soglia di età la nostra mente cominci a sedersi e a smettere di dimostrare curiosità verso le novità e verso l’apprendimento; se non si inverte questa tendenza il nostro cervello inizia a decadere ed ad utilizzare solo le competenze cristallizzate.

Ci sono diversi studi che dimostrano che l’intelligenza fluida può essere stimolata e sviluppata da ambienti di gioco che mettono alla prova le capacità dei giocatori. Proprio dall’esperienza militare emerge che in contesti volatili, incerti, complessi e ambigui vanno allenate delle abilità non convenzionali; nello specifico è fondamentale sviluppare le seguenti 5 aree, quelle proprie dell’intelligenza fluida:

  • Abbracciare e bilanciare il rischio. In un mondo VUCA il rischio è inevitabile. La chiave per abbracciare il rischio è un’acuta consapevolezza della situazione, una valutazione istantanea delle opzioni, un solido processo decisionale e un’azione deliberata.
  • La capacità di sperimentare. In un mondo VUCA, è essenziale insistere sulla sperimentazione per supportare decisioni basate sui fatti. Altrettanto importante è la capacità di determinare rapidamente gli esperimenti da condurre per ottenere risultati significativi e attuabili. Le capacità analitiche, organizzative e di raccolta delle informazioni sono cruciali se vogliamo impostare gli esperimenti adatti. E’ altrettanto cruciale procedere nel testare, fallire rapidamente ma sviluppare una mentalità di apprendimento rispetto alle prestazioni, essenziale per il progresso e la conservazione delle informazioni nel tempo.
  • Dimostrare la consapevolezza di sé. L’autoconsapevolezza è un’abilità chiave necessaria per una collaborazione efficace. I team ad alte prestazioni hanno fiducia e sicurezza psicologica; tutti si sentono apprezzati e rispettati, tutti hanno il potere di correre dei rischi, guidati dalla compassione e concentrati sulla missione e sulla visione. Una delle qualità umane più importanti per prosperare nella realtà VUCA è l’empatia. Le capacità di ascoltare, celebrare, riconoscere, responsabilizzare le persone, innovare, coinvolgere tutti in tutto hanno un valore strategico nella preparazione per il VUCA.
  • L’apprendimento veloce. Una mentalità aperta e orientata alla crescita è essenziale per poter apprendere rapidamente e capitalizzare successi e fallimenti. Le persone che imparano velocemente si lasciano aperte a nuove idee e sintetizzano rapidamente nuove idee dalle informazioni che hanno raccolto. Gli studenti veloci sanno anche che possono adottare idee da qualsiasi membro del team e coinvolgeranno tutti nel fornire input che potrebbero essere utili.
  • Dare priorità senza scrupoli. L’assegnazione senza scrupoli delle priorità alle attività le colloca, senza la necessità di scusarsi, in ordine di importanza per il raggiungimento del miglior risultato. Questo aspetto è necessario in un mondo VUCA perché le condizioni che hanno creato una serie di priorità possono cambiare improvvisamente e senza preavviso. Per raggiungere un obiettivo, un leader deve adeguare costantemente le priorità attraverso un’attenta analisi dei fatti a portata di mano e costanti aggiornamenti al percorso da seguire. Le priorità vengono stabilite indipendentemente da implicazioni politiche, investimenti precedenti, preferenze personali o guadagni o perdite a breve termine.

Allenare il VUCA attraverso il gioco

Affrontare un ambiente VUCA simulato è l’ideale per preparare la nostra mente a districarsi in queste 5 aree. FLIGBY, la leadership Simulation che utilizziamo nei nostri percorsi di sviluppo risulta ideale. Il partecipante gioca il ruolo del nuovo Direttore Generale di una vigna californiana. In questo ambiente il giocatore affronta sfide all’insegna della volatilità, incertezza, complessità ed ambiguità. Dovranno gestire:

  • Demotivazione, paura del cambiamento e difficoltà a collaborare del team;
  • Disallineamento nella mission e nella visione aziendale;
  • Allineamento del team ai nuovi obiettivi;
  • Malcontento, frustrazione e conflittualità del team lasciati dal precedente GM;
  • L’atmosfera aziendale e il morale dei dipendenti che sono ai minimi storici;
  • La necessità di decisioni strategiche

All’interno di queste sfide il partecipante avrà la possibilità di lavorare sulle seguenti abilità:

  • Capacità di coinvolgere, motivare e stimolare la collaborazione;
  • Instaurare fiducia ed essere autorevole;
  • Allineare gli obiettivi e la mission del proprio team;
  • Capacità di testare la gestione emotiva individuale e del gruppo;
  • Migliorare la qualità dell’ambiente lavorativo e arricchire la cultura aziendale;
  • Diventare un efficace decision maker e abbracciare la cultura del feedback.

 

Oltre a facilitare l’apprendimento attraverso una soluzione gamificata FLIGBY ha il grande vantaggio di avere un chiaro approccio filosofico alla leadership legato allo stato di FLOW. Questo rappresenta proprio in un contesto VUCA una chiave straordinaria di lettura delle situazioni e un supporto favoloso alle decisioni riguardanti il team.

FLIGBY inoltre, per la prima volta in Italia, ha la possibilità di fornire un assesment ai partecipanti proprio sulla predisposizione al VUCA. Al termine della partita, oltre che alla valutazione delle 29 abilità di leadership già generata in precedenza, metterà a disposizione la valutazione delle 5 aree principali di successo nell’ambiente VUCA che abbiamo visto in precedenza. Un nuovo report sviluppato da due esperti di business provenienti dal settore militare ( Dale Canning e Imre Porkolab) darà una valutazione a:

  • Abbracciare il rischio;
  • Sperimentazione;
  • Consapevolezza di sé;
  • Apprendere velocemente;
  • Dare priorità senza scrupoli.

 

Vuoi saperne di più? Contattaci per avere tutti i dettagli.

#leadership #VUCA #intelligenzafluida

La pandemia ci ha obbligati a fare un passo avanti nel mondo del lavoro che fino a poco prima era ancora sconosciuto: il lavoro ibrido.
Il lavoro ibrido è una modalità di lavoro che unisce il lavoro in presenza e il lavoro a distanza.

Ad oggi non ci sono regole specifiche che lo regolino. Ci sono aziende che si stanno orientando verso una modalità “remote-first”, adottando il lavoro da remoto come predominante e una presenza in ufficio occasionale. Altre aziende, invece, preferiscono un approccio “office-first”, in cui l’ufficio rimane il luogo principale dove svolgere l’attività.

I vantaggi del lavoro ibrido

Molte persone stanno richiedendo di lavorare in modo ibrido perchè in questo modo possono lavorare scegliendo il luogo più adatto, senza doversi recare fisicamente ogni giorno in ufficio.
Con questa alternanza le persone sono libere di gestire il loro tempo e le loro vite migliorando notevolmente l’equilibrio lavoro-vita privata.

Quando i dipendenti ottengono la flessibilità che cercano, i datori ne hanno vantaggi in termini di aumento della produttività, dell’impegno e della lealtà. Questo porta ad una riduzione dell’assenteismo e ad una riduzione dei costi per gli spazi fisici.
Anche l’ambiente ne risente in modo positivo, grazie al lavoro ibrido le emissioni di CO2 e il traffico stradale diminuiscono. Questo comporta anche un migliore utilizzo dei trasporti pubblici.

Le sfide del lavoro ibrido

Secondo l’articolo di Mark Mortensen e Martine Haas, pubblicato sull’Harvard Business Review, chi lavora da remoto, se non correttamente supportato, rischia di rimanere ai margini dell’organizzazione.

Questi dipendenti, spesso vengono penalizzati da un’infrastruttura tecnologica peggiore (connessioni lente, incapacità di accedere a determinate risorse da casa, una configurazione di un home office meno sofisticata) riscontrando più difficoltà nel dimostrare la propria competenza. Ma non si deve fare i conti solo con un gap tecnologico.
Non essere presenti durante le interazioni informali lascia i lavoratori da remoto fuori da alcune dinamiche, mettendoli anche nella condizione di diventare gli ultimi a essere messi al corrente dei fatti.

Lavorare da remoto può anche portare i dipendenti a sentirsi più isolati e privi di quelle relazioni e connessioni che forniscono un supporto sociale.
Mark Mortensen e Martine Haas spiegano che i leader riconoscono sforzi e azioni dei propri collaboratori e le azioni in modo maggiore quando si lavora nello stesso spazio del capo.
La probabilità che le azioni del collaboratore siano viste e segnalate al capo è maggiore quando si lavora in ufficio e non da remoto. Impegnarsi duramente al raggiungimento degli obiettivi assegnati, anche al di fuori dell’orario lavorativo classico (di notte, di mattina presto ecc..), non è facilmente visibile come poteva esserlo in precedenza.
In questi casi spesso il merito per un lavoro di gruppo viene attribuito principalmente a chi è presente in ufficio e più visibile, generando disparità di trattamento e frustrazione tra i membri del team.

I nuovi Leader

Più andiamo avanti e meno torneremo alle modalità di lavoro considerate “normali” fino a qualche anno fa.

Per far fronte alle nuove sfide serve formare dei nuovi leader. Queste persone devono essere in grado di sviluppare e implementare una nuova visione e utilizzare nuovi strumenti per coordinare e supportare ogni membro della squadra.
I nuovi Leader dovranno avere alti livelli di intelligenza emotiva e di resilienza per gestire team ibridi che presentano esigenze, obiettivi, modalità di lavoro e situazioni personali molto variegate.
Dovranno assicurarsi che i dipendenti che lavorano da remoto non si sentano esclusi, creando un ambiente stimolante in cui regni la fiducia.

Per formare i nuovi leader serviranno sempre di più dei programmi di sviluppo innovativi e coinvolgenti, come Fligby, basati sulla simulazione e sulla gamification manageriale. Grazie ad un’adeguata formazione i leader svilupperanno le skills necessarie per affrontare la nuova realtà ibrida, creando ambienti di lavoro coinvolgenti. Aumentando l’engagement aumenterà anche il livello di produzione aziendale.

Una metodologia per stabilire il profilo delle abilità di leadership utilizzando i dati di gioco

La missione del serious game FLIGBY è identificare, misurare e aiutare a sviluppare capacità di leadership. Alla fine del gioco, FLIGBY fornisce un report individuale per ciascun giocatore sulle 29 competenze di leadership, con una gamma di opzioni di benchmark disponibili.
In FLIGBY, il report individuale di ogni giocatore è composto dai suoi punteggi su ciascuna delle 29 competenze di leadership. I profili vengono generati automaticamente alla fine della simulazione per coloro che hanno completato il gioco. La registrazione continua di ogni decisione del giocatore, così come la complessa analisi statistica dei risultati, vengono eseguite di routine dall’algoritmo automatizzato e pre-programmato incorporato nel sofisticato Master-Analytics-Profiler (MAP) di FLIGBY.

Su circa 90 delle oltre 150 decisioni che il “GM” deve prendere nel Gioco, ci sono da due a cinque scelte.
In ogni decisione, due team indipendenti di esperti FLIGBY hanno classificato le risposte dal “più appropriato” (nel qual caso il giocatore ottiene già un feedback positivo all’interno del gioco e l’algoritmo valuta positivamente alcuni elementi nel profilo delle abilità del giocatore), al “meno appropriato” (nel qual caso, e in tutti i casi intermedi, i punteggi delle abilità non cambiano).

La valutazione delle scelte

competenze di leadership

Sulle decisioni soggette al punteggio delle abilità di un giocatore, i due gruppi di esperti indipendenti hanno concordato quali sarebbero state le decisioni “migliori” (solo in pochi casi, hanno anche segnato positivamente la “seconda migliore alternativa”). Si presume che la maggior parte delle decisioni prese durante il gioco richieda (e quindi rifletta) circa 6 delle 29 abilità di leadership.

In ogni caso, quando un giocatore fa la scelta migliore, guadagna un punto per la decisione.

Per ogni particolare abilità, il numero massimo di punti che si possono guadagnare è standardizzato al 100%.
Ciò consente di determinare il punteggio percentuale di ciascun giocatore su ciascuna abilità. Questo approccio facilita il confronto del livello di abilità di un giocatore tra le 29 abilità e consente di confrontarlo con la media del gruppo di appartenenza. L’approccio consente anche di effettuare analisi comparative rispetto ad altre coorti, in tutti i settori industriali, per nazionalità, per mansioni lavorative e molti altri.

Poiché le aziende operano in diversi settori, scopi e contesti aziendali, spesso identificano competenze di gestione/leadership piuttosto specifiche. Il successo organizzativo richiede in genere una combinazione di competenze contestualmente diverse. Ciascuna di queste “miscele” può essere personalizzata dall’algoritmo di Fligby.

In molti cercano di individuare quali potranno essere i trend della leadership per il 2022, ho provato a dare un’occhiata a qualche studio e ricerca e quello che emerge è molto interessante. Il mio intento in questo articolo è provare ad immaginare le implicazioni dei dati più significativi. Partiamo proprio dai dati:

– Il 55% dei CEO dicono che sviluppare la prossima generazione di leader è la loro principale priorità

– i dipendenti non coinvolti nel 2021 sono il 71% in più rispetto al 2020

– Il 55% dei lavoratori sta pianificando di lasciare il proprio lavoro nei prossimi 12 mesi

(Fonti- DDI’s Global Leadership Forecast- Achievers’ Employee Engagement and retention report 2021)

Questi dati testimoniano che c’è una crisi della leadership globale iniziata già prima della pandemia. Questa ha semplicemente accentuato un fenomeno che era già presente. Se le preoccupazioni dei Ceo sono rivolte allo sviluppo della prossima generazione sembrerebbe ci siano delle difficoltà nella scelta e nella preparazione dei leader di quella attuale.  Leader deboli e poco preparati generano un effetto a catena nei loro team riducendo i tassi di coinvolgimento e aumentando il turnover. Una leadership più coinvolgente è necessaria in un mondo in cui 8 lavoratori su 10 risultano non coinvolti.

Great Resignation

great resignation

Secondo il Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti, durante i mesi di aprile, maggio e giugno 2021, un totale di 11,5 milioni di lavoratori hanno lasciato il lavoro . Studi recenti indicano che probabilmente non è finita. Un sondaggio condotto da Microsoft su oltre 30.000 lavoratori ha rilevato che il 41% sta pensando di lasciare; quel numero sale al 54% quando viene considerata solo la Gen-Z. Un recente sondaggio Gallup ha evidenziato che il 48% dei dipendenti è attivamente alla ricerca di nuove opportunità.

Questi sono dati allarmanti. Il turnover è costoso e per qualsiasi organizzazione perdere anche solo un terzo della propria forza lavoro sarebbe davvero devastante. L’impatto sulle piccole e medie imprese, dove non è raro trovare reparti composti da un’unità, sarà particolarmente significativo. Come con qualsiasi potenziale crisi, è meglio affrontare la situazione una volta che si capisce cosa la sta causando.

I temi che guidano la Great Resignation sono molteplici. Secondo un sondaggio condotto da LinkedIn, il 74% degli intervistati ha indicato che il tempo trascorso a casa – durante il lockdown o lavorando da remoto – durante la pandemia li ha indotti a ripensare alla loro attuale situazione lavorativa. Moltissimi – più della metà in diversi sondaggi – citano lo stress e il burnout nella loro posizione attuale come motivo per guardare altrove. Altri indicano l’insoddisfazione, e persino la paura, causata da azioni istintive di riduzione dei costi da parte del loro attuale datore di lavoro in risposta ai rallentamenti dell’attività legati al Covid-19 come motivo di fuga. Molti dipendenti trovano fondamentale l’iniquità nelle sospensioni delle promozioni, nella cultura del merito congelata e negli aumenti e licenziamenti indiscriminati.

Altri ancora hanno fatto valutazioni, sia con il cuore che con la testa, intorno alla vera economia di una famiglia a due redditi, determinando che i benefici non superano più i costi. Alcuni alla fine hanno fatto il salto e hanno iniziato un’attività da sogno. Molti hanno semplicemente avuto la sensazione di essere sottovalutati e inascoltati da manager tossici e narcisisti. Infine, un terzo ha espresso preoccupazione per la propria sicurezza personale nel dover tornare a una posizione in loco mentre la pandemia infuria ancora. Quindi, con tutto questo in corso, cosa può fare una tipica piccola impresa per arginare la marea, in particolare quando i concorrenti aziendali più grandi e meglio finanziati competono per lo stesso pool di talenti più piccolo?

La Great Resignation ha colto alla sprovvista così tanti datori di lavoro perché è contraria a tutto ciò che il management tradizionale pensa di sapere sui mercati del lavoro.

Si rende necessaria una nuova concezione del posto di lavoro e della relazione capo/risorsa. I leader di oggi hanno pochi strumenti per mitigare la mancanza di motivazione e le aziende cominciano ad accorgersene-

Le priorità

business priorities

Per approfondire la tematica basta analizzare quali siano state le priorità delle aziende negli ultimi due anni.  Ecco le prime otto priorità emerse (Fonte – Siyli EI report):

  1. Affrontare l’incertezza.
  2. Produttività
  3. Sviluppo della leadership
  4. Stress e Burnout
  5. Collaboration
  6. Resilienza
  7. Well-being
  8. Diversity ed Inclusion

Fattore interessante l’assenza del miglioramento delle capacità tecniche ma una lista di priorità cosiddette soft facenti tutte capo all’aspetto emozionale. Sembrerebbe confermata la tendenza che vede l’intelligenza emotiva come chiaro fattore vincente per successo sia individuale che collettivo.

I leader ad alto Quoziente Emotivo creano un clima in cui prosperano la condivisione delle informazioni, il feedback, la fiducia, la sana assunzione di rischi e l’apprendimento.

Per dare risposta alle istanze lanciate dal mondo del lavoro va costruita un nuovo modello di leader emotivo.

Il leader ad alto QE (quoziente emotivo)

leader ad alto QE

Come opera un leader di questo tipo? Su diversi fronti:

  1. Si prende cura di sé. Priorità alle sane abitudini (meditazione, attività fisica, relazioni con amici e mentori, prendere ispirazione da libri, video e citazioni etc.)
  2. Pratica l’Auto-compassione. Trattarsi con benevolenza come si farebbe con un amico anche di fronte a errori o fallimenti.
  3. Si prende cura degli altri. Nutre ispira e si mette al servizio del team
  4. Sviluppa il senso di unità. Affronta le difficoltà con la consapevolezza che insieme si riuscirà a sorpassarle.
  5. Rinnova e aggiorna. Sfrutta le difficoltà per trovare nuove soluzioni, per scoprire strade non battute, per apprendere nuove conoscenze e consapevolezze.
  6. Cerca il senso di scopo. Lavora per un fine che va oltre il raggiungimento degli obiettivi operativi. Sente di avere una missione più elevata e riesce a trasmetterla a chi ha attorno.

Come arrivare a formare leader di questo tipo?

Le metodologie tradizionali non sono più sufficienti. Molti degli insuccessi dell’attuale generazione di leader derivano da scarsa preparazione, accresciuta complessità e mancanza di strumenti efficaci di sviluppo.

Un manuale di leadershjp o un istruttore ottengono ben poco. La pratica e l’apprendimento sul campo la fanno da padrone. Quali i campi d’azione? Eccone alcuni:

  • Coinvolgere un team demotivato e spaventato dall’incertezza
  • Rivedere la mission e vision e dare un senso di scopo
  • Allineamento ai nuovi obiettivi
  • Prendere decisioni in situazioni d’incertezza e ambiguità
  • Capire le conseguenze del proprio agire
  • Generare ambienti dove l’apprendimento e la voglia di crescere siano priorità

Il trend che affronteremo nel futuro prossimo sarà proprio questo programmi di LEARNING BY DOING che mettano in risalto l’intelligenza emotiva e la generazione di coinvolgimento. Per una nuova generazione di leader di alto livello serve una nuova generazione di strumenti formativi.

Sei pronto per metterti in gioco? Noi abbiamo un programma di sviluppo che lavora proprio in questo modo, vieni a scoprirlo

L’obiettivo principale di un’organizzazione è che i propri membri siano coinvolti e ingaggiati in quella che è la mission aziendale. La domanda che molti si fanno è se sia possibile misurare il livello di coinvolgimento dei propri collaboratori. In questo articolo presentiamo un approccio per il calcolo del coinvolgimento dei dipendenti che fornisce anche informazioni su ciò che potrebbe causare picchi e cali nella felicità del personale.

Esistono 4 tecniche convenzionali per misurare il coinvolgimento dei dipendenti

1. Survey periodici ai dipendenti

Forse il metodo più comune per misurare il coinvolgimento dei dipendenti è sondare il livello di coinvolgimento in modo anonimo, ogni mese, trimestre o anno.

Questi sondaggi possono essere ottimi quando si cercano modelli nel feedback aperto. Possiamo anche porre le stesse domande chiuse per un certo periodo di tempo e cercare tendenze nelle risposte che riceviamo.

Tuttavia, per misurare il coinvolgimento attraverso i sondaggi, Gallup suggerisce di porre le seguenti dodici domande ai membri del tuo team:

  1. Sai cosa ci si aspetta da te al lavoro?
  2. Hai i materiali e le attrezzature per svolgere bene il tuo lavoro?
  3. Al lavoro, hai l’opportunità di fare ciò che sai fare meglio ogni giorno?
  4. Negli ultimi sette giorni, hai ricevuto riconoscimenti o lodi per aver svolto un buon lavoro?
  5. Il tuo supervisore, o qualcuno al lavoro, sembra preoccuparsi per te come persona?
  6. C’è qualcuno al lavoro che incoraggia il tuo sviluppo?
  7. Al lavoro, le tue opinioni sembrano contare?
  8. La missione/scopo della tua azienda ti fa sentire importante il tuo lavoro?
  9. I tuoi collaboratori (compagni di lavoro) si impegnano a svolgere un lavoro di qualità?
  10. Hai un migliore amico al lavoro?
  11. Negli ultimi sei mesi, qualcuno al lavoro ti ha parlato dei tuoi progressi?
  12. Nell’ultimo anno, hai avuto opportunità di imparare e crescere?

Queste domande forniscono utili spunti, soprattutto se teniamo traccia di come le risposte a ciascuna domanda cambiano nel tempo.  Ma dovremmo porci la stessa lunga lista di domande, mese dopo mese?

No. Questo di per sé è semplicistico e spesso si vogliono scoprire e testare nuove aree tematiche. Tuttavia, se cambiamo le nostre domande, alla fine stiamo cambiando la nostra metrica, quindi non possiamo monitorarla per un lungo periodo di tempo e individuare le tendenze.

2. Employee Net Promoter Score (ENPS)

employee net promoter score

Ciò implica porre periodicamente ai dipendenti una semplice domanda: “Su una scala da 1 a 10, quanto è probabile che consiglieresti il ​​tuo datore di lavoro a un amico”.

Dovresti quindi utilizzare il seguente calcolo per creare un punteggio percentuale: i detrattori sono coloro che hanno dato un punteggio compreso tra 1 e 6 e i promotori sono i dipendenti che hanno risposto con un 8, 9 o 10.

Formula del punteggio del promotore netto dei dipendenti

Poiché questo è un modo così semplice per misurare il coinvolgimento dei dipendenti, è facile sondare regolarmente il team e tenere traccia della risposta complessiva alle modifiche.

Inoltre, possiamo dividere i risultati tra i diversi team per scoprire come variano i tassi di coinvolgimento all’interno del contact center.

Ma mentre questo ci dà un punteggio metrico facile da confrontare, poiché è una domanda così semplice, non otteniamo così tante informazioni utili come con alcuni degli altri metodi.

3. Incontro individuale

Gli one-to-one sono un ottimo metodo per ottenere feedback aperti e cercare tendenze. Ci consentono inoltre di avere un’idea del coinvolgimento dei dipendenti a livello individuale, se li facciamo sentire  a proprio agio in un ambiente sicuro.

Le conversazioni informali forniscono un senso reale di ciò che conta davvero per gli individui e possiamo scavare più a fondo quando il collaboratore dice qualcosa di veramente perspicace.

Un altro vantaggio è che le conversazioni informali forniscono un senso reale di ciò che conta davvero per le persone e possiamo scavare più a fondo quando il partecipante dice qualcosa di veramente perspicace o con molta passione.

Tuttavia, non possiamo fare affidamento esclusivamente su questo metodo, poiché può essere molto difficile creare uno “spazio sicuro” in cui i dipendenti possano condividere apertamente le informazioni su quanto sono coinvolti.

Inoltre, poiché questo metodo si basa su conversazioni informali, non possiamo fornire dati significativi da monitorare nel tempo, quindi non possiamo creare una metrica affidabile da monitorare.

4. Analisi del tasso di abbandono

I dipendenti coinvolti hanno meno probabilità di lasciare la tua organizzazione. Pertanto, i tassi di abbandono possono essere un buon indicatore di coinvolgimento. E, in misura minore, anche il tasso di assenteismo.

Tuttavia, il problema con l’utilizzo del tasso di abbandono è che rappresenta un  “indicatore di ritardo”. Ciò significa che quando abbiamo scoperto che alcuni membri del team si sono disimpegnati, è troppo tardi per fare qualcosa al riguardo, poiché hanno lasciato l’organizzazione.

Misurare i tassi di abbandono è un modo per analizzare i nostri errori e imparare da essi in modo da non ripeterli nel futuro.

Inoltre, se osserviamo i tassi di abbandono in alcune parti del percorso dei dipendenti, ad esempio le fasi della formazione introduttiva, possiamo costantemente evolvere il nostro piano di formazione per diventare più coinvolgenti…

Periodicità

Bene, queste quattro tecniche rappresentano le basi per misurare il coinvolgimento, altro tema interessante è la periodicità delle misurazioni. Come minimo, per ottenere una buona gestione del coinvolgimento dei dipendenti e garantire di avere l’opportunità di affrontare gli aspetti negativi, dobbiamo misurarlo trimestralmente. In parole povere, misurare il coinvolgimento come parte di un sondaggio annuale non ha senso per l’organizzazione, in quanto non aiuta i leader a gestire il coinvolgimento in modo corretto. Data l’alta complessità e le diverse situazioni che si verificano all’interno di un anno risulterebbe non tempestivo individuare una misurazione insoddisfacente solo alla fine del periodo.

Ovviamente, come tutte le misurazioni, anche per quella del livello di coinvolgimento dei dipendenti diventa fondamentale la fase successiva. Possiamo utilizzare qualsiasi metodo di misurazione, ma il passo successivo è indagare e prendere delle iniziative volte a correggere le cause del mancato coinvolgimento.

Avere i dati corretti è importante, lo è ancor di più aver a cuore il benessere e la motivazione dei tuoi collaboratori.