A fine agosto si è svolta la Flow Conference, un evento di due giorni in cui esperti, trainer, professori e atleti si sono riuniti per parlare di Flow e condividere conoscenze ed esperienze.
Noi di CapoLeader ovviamente non potevamo mancare e siamo rimasti molto entusiasti di queste due giornate di formazione.

È stato molto interessante vedere come il Flow possa essere declinato in più ambiti della nostra vita.
Infatti, durante le giornate si sono susseguite più di trenta presentazioni di scienziati e professionisti su argomenti diversi come neuroscienza, resilienza, gratitudine, motivazione, felicità, stress, ansia, prestazioni ottimali e molti altri!

Per esempio, Lorraine Huber, una sciatrice professionista e campionessa del mondo di freeride, nel suo speech ha raccontato come è riuscita a trasformare la situazione di stress pre-gara in un momento di sfida stimolante grazie al Flow. Per raggiungere alte prestazioni bisogna cambiare un po’alla volta la propria mentalità arrivando ad amare le sfide anziché temerle.

Zad Vecsey, fondatore e CEO di Aleas Simulation, ha parlato proprio di Fligby e dell’apprendimento esperienziale che lo caratterizza. Con il Flow si possono sviluppare 29 competenze di leadership utili per aiutare i lavoratori a raggiungere prestazioni qualitativamente e quantitativamente superiori alla media.

Corinna Peifer, professoressa di Psicologia del lavoro e delle organizzazioni e responsabile del Work & Health Lab presso l’Università di Lubecca, ha parlato dei vantaggi di portare il Flow nel contesto lavorativo, soffermandosi sugli ostacoli e sulle nuove opportunità create dalla digitalizzazione e dall’introduzione di metodi di intelligenza artificiale.

Hazel Findlay, climber professionista ha parlato della sua relazione con la paura, in particolare ha spiegato i diversi tipi di paura che possono essere una barriera per il Flow e come interagiscono con i risultati delle prestazioni. Ha poi concluso con alcuni consigli pratici per poterla trasformare in qualcosa di utile e positivo.

Vedere così tante persone raccontare delle proprie esperienze con il Flow e dei grandi vantaggi che hanno avuto applicandolo nella loro realtà, ci ha fatto capire che stiamo andando nella direzione giusta. Il Flow può aiutare molte persone e noi siamo molto contenti di poter contribuire alla sua diffusione.

Il Flow Conference è stato per il Team di CapoLeader un momento formativo importante, ci ha permesso di ampliare ancora di più i nostri orizzonti e di confrontarci con grandi esperti di Flow a livello mondiale.

Ti piacerebbe poter partecipare ad una conferenza dedicata al Flow in Italia? Quali aspetti ti piacerebbe che venissero affrontati?
Scrivicelo nei commenti!

Nei giorni scorsi si è fatto un gran parlare di Patagonia per la decisione, da parte del suo fondatore Yvon Chouinard, di cedere la proprietà dell’azienda a due nuove entità Patagonia Purpose Trust e Holdfast Collective. Ogni dollaro non reinvestito nell’azienda sarà distribuito sotto forma di dividendi per proteggere il pianeta. Il nostro unico azionista è il pianeta, questo è lo slogan che caratterizza l’operazione e descrive la nuova mission di Patagonia. Qualcuno potrebbe anche pensare ad un’operazione pubblicitaria se non conoscesse la storia di un’azienda che ha rivoluzionato il mondo del business come siamo abituati a concepirlo.

Il prof. Csikszentmihaly, nel suo libro Buon Business cita spesso Patagonia e il suo fondatore Yvon Chouinard come esempi da seguire per la capacità di generare una mission significativa che generi pieno coinvolgimento e permetta alle persone coinvolte nel business di sperimentare lo stato di Flow sul posto di lavoro. Come sappiamo più è presente il Flow in azienda più le persone sono coinvolte, felici e produttive.

Ogni passaggio della sua storia ormai cinquantennale ha significato un ulteriore gradino percorso in termini di responsabilità sociale e ambientale creando un forte engagement e benessere nei dipendenti. Basta dare una scorsa alla filosofia che ha animato Patagonia fin dai suoi albori.

La storia di Patagonia

Innanzitutto, Yvon Chouinard parte dalla sua prima fortissima passione. Nel lontano 1953, a soli 14 anni, si innamora dell’arrampicata su roccia. La gioventù di Chouinard passa nello Yosemite park dove la sua combricola affronta sfide sempre più avvincenti nello scalare pareti. Nel 1957 inizia la sua avventura come uomo d’affari, acquista da un rigattiere una fucina a carbone usata, un’incudine, alcune pinze e martelli e impara da autodidatta il mestiere del fabbro. Tutto parte dalla difficoltà di reperire negli Stati Uniti i chiodi da arrampicata di produzione europea. La notizia si diffonde e presto i suoi amici vogliono assolutamente avere i chiodi in acciaio al cromo-molibdeno di Chouinard. Il passo successivo è aprire un piccolo negozio nel cortile dei suoi genitori a Burbank. La maggior parte dei suoi strumenti però è portatile, quindi può caricare la sua auto e viaggiare lungo la costa della California da Big Sur a San Diego, dando spazio alla sua seconda passione, il surf. Abbinare lavoro e divertimento è una caratteristica che porterà nella sua avventura imprenditoriale.

Nel 1965, Yvon si mette in società con Tom Frost, suo instancabile compagno di cordata, e insieme fondano la Chouinard Equipment. Durante i nove anni in cui Frost e Chouinard sono soci, riprogettano e migliorano quasi tutti gli attrezzi da arrampicata per renderli più forti, più leggeri, più semplici e più funzionali. Il loro principio progettuale guida deriva da Antoine de Saint Exupéry, celebre aviatore francese: “In qualsiasi cosa, la perfezione si raggiunge non quando non c’è più niente da aggiungere, ma quando non vi è più niente da togliere, quando un corpo è stato spogliato fino alla sua nudità“.

Nel 1970 Chouinard Equipment è il più grande fornitore di ferramenta per arrampicata e alpinismo negli Stati Uniti. Ma è anche un criminale ambientale perché i suoi attrezzi danneggiano la roccia. Le stesse fragili crepe sono costrette a subire ripetuti martellamenti dei chiodi durante il posizionamento e la rimozione, e la deturpazione è grave. Chouinard e Frost decidono di ridurre al minimo il business dei chiodi. Questo è il primo grande passo ambientale che intraprendono nel corso degli anni.

Fortunatamente esiste un’alternativa: dadi di alluminio che possono essere incuneati a mano anziché martellati dentro e fuori le crepe. Vengono introdotti nel primo catalogo della Chouinard Equipment nel 1972. Nel catalogo viene incluso un saggio di 14 pagine del climber della Sierra Doug Robinson su come usare i dadi, e ciò apre la strada a futuri saggi sull’ambiente nei cataloghi di Patagonia. Nel giro di pochi mesi dalla spedizione del catalogo, il business dei chiodi si atrofizza: i dadi vengono venduti più velocemente, ancora prima di essere realizzati. Yvon non vuole contribuire in alcun modo a deturpare e mettere a rischio le sue amate montagne.

Successivamente abbandonò completamente la linea delle attrezzature e iniziò a produrre indumenti per scalatori, ma indumenti talmente resistenti da soddisfare un fabbro. E’ lo stesso Chouinard a confermarlo: “Abbiamo cucito il primo paio di pantaloni corti con una macchina per il cuoio. Ho utilizzato una canapa molto pesante. La donna che li cucì li mise in piedi sul tavolo e i pantaloni rimasero dritti. E quello fu l’inizio dei nostri Standup Short (gli short che tanno in piedi da soli). Eravamo dei fabbri che facevano indumenti.”

Il passaggio dalle attrezzature all’abbigliamento non cambiò l’obiettivo dell’azienda. “Secondo la nostra concezione, ogni prodotto che facciamo dev’essere il migliore del mondo. Non uno dei migliori: il migliore. Qualsiasi cosa facciamo, che sia un paio di pantaloni o una camicia, dev’essere così.” Questo è il segreto perché Patagonia è stata capace di attrarre talenti eccezionali nella propria organizzazione. Se un’impresa non aspira a essere la migliore della sua specie, attrarrà dipendenti poco abili e sarà presto dimenticata.

Come ogni imprenditore sa, esistono momenti molto difficili e si devono fronteggiare situazioni complicate per garantire la sopravvivenza a lungo termine dell’azienda. Questo è ancora più difficile se si vuole perseverare secondo valori etici elevati e ci si vuole prendere cura dell’ambiente. Chouinard si trova ad affrontare uno di questi momenti quando capisce che il cotone, per tutti un materiale naturale ed ecologico rappresenta in realtà una forte minaccia per l’ambiente (i risultati di un’analisi dicono che ci vogliono circa 9 litri di petrolio – la base per i pesticidi- per produrre una camicia di cotone).

 

Mentre attraversavo la Central Valley ho visto queste grandi pozzanghere dove scolava l’acqua dai campi di cotone. C’erano delle guardie armate di fucili per spaventare e tenere lontani gli uccelli da questo liquame. Vedi tutto questo, parli con gli agricoltori e vieni a sapere che il tasso di incidenza del cancro è dieci volte maggiore della media. Ho detto: Ah, è così! Non userò mai più cotone prodotto industrialmente. E’ come produrre mine anti uomo e un giorno svegliarsi e andare a vedere che cosa fanno. A questo punto puoi scegliere: andare avanti o fermarti. E io mi sono detto: Va bene smettiamo. Preferisco chiudere che continuare così.

Patagonia per inciso non chiuse, ma fece partire una campagna di rilancio del cotone prodotto biologicamente alla quale col tempo aderirono anche Nike Levi Strauss e altri colossi dell’abbigliamento.

I valori e l’integrità di Patagonia rendono i propri dipendenti orgogliosi e felici e fanno percepire un forte senso di scopo nella propria attività. L’ambiente lavorativo è costruito proprio alternando responsabilità verso l’ambiente e miglioramento della qualità dell’esperienza lavorativa.

 

il flow a lavoro

 

La cultura aziendale è viva e si esprime in diversi modi: “Sul lavoro siamo circondati da amici che possono vestirsi come vogliono, possono venire in ufficio anche a piedi nudi. La gente corre a fare surf quando c’è l’onda giusta, gioca a pallavolo sul campo di sabbia alle spalle del nostro stabilimento. L’azienda sponsorizza viaggi per sciare o per arrampicate e alpinismo. Dal 1984 non abbiamo più uffici privati, lavoriamo in un grande open-space per aiutarci nella comunicazione. Abbiamo una caffetteria che serve cibi sani, principalmente biologici. L’unica cosa che non cambia qui sono i fagioli e il riso, serviti ogni lunedì. Abbiamo anche aperto, su insistenza di Malinda Chouinard, un asilo nido aziendale – all’epoca uno dei soli 150 nel Paese (oggi ce ne sono migliaia, anche se non sono ancora sufficienti). La presenza di bambini che giocano nel cortile o che pranzano con i genitori nella caffetteria aiuta a mantenere l’atmosfera aziendale più familiare che aziendale. Nel 2015 siamo stati premiati dal Presidente Obama per il nostro impegno nei confronti delle famiglie dei nostri dipendenti.

Perchè Patagonia è diversa

L’ulteriore storia della cura verso l’impatto ambientale è testimoniata da diverse iniziative:

  • La prima, negli anni ‘70 per salvare l’habitat della trota iridea diventa uno spartiacque. Una delegazione di dipendenti di Patagonia blocca il piano di sviluppo del territorio per la costruzione e la cementificazione del letto del fiume Ventura che costeggiava lo stabilimento. Allo stesso tempo viene finanziato un piano per il recupero del fiume e della fauna.
  • Dal 1986 Vengono previste donazioni regolari per iniziative di recupero ambientale.
  • Nel 2002 nasce la campagna 1% for the planet. L’uno per cento del fatturato viene destinato a scopi ambientalistici.
  • Dal 1980 Patagonia fa uso di carta riciclata per i propri cataloghi
  • Nel 2007 viene prodotto il pile Synchilla® ottenuto attraverso il riciclo di bottiglie d’acqua di plastica.
  • Nel 1996 lo stabilimento a Reno viene progettato per consumare il 60% di energia in meno attraverso lucernari a tracciamento solare e sistemi di riscaldamento radiante.
  • Nel gennaio del 2012, Patagonia è la prima azienda californiana a diventare una società di beneficenza (B-Corp)
  • Il libro Let my people go surfing scritto da Yvon che racconta il suo approccio imprenditoriale diventa un bestseller.
  • Il programma Worn Wear lancia la prima iniziativa di riaparazione dell’abbigliamento usato attraverso l’utilizzo di materiali di recupero.
  • Il simbolo di cucitura Fair Trade Certified™ garantisce che parte dei soldi spesi per un prodotto vengono destinati direttamente ai produttori, restando quindi nella loro comunità. Fair Trade è il primo passo per pagare salari dignitosi a tutti coloro che fanno parte della rete di approvvigionamento.
  • Patagonia Action Works si occupa di connettere i clienti con le organizzazioni ambientale supportate.
  • Patagonia Provisions – l’azienda alimentare alle prime armi – ha fatto il primo passo verso la riduzione dell’impatto della CO2 quando ha lanciato la Long Root Ale, una birra prodotta con grano Kernza® che vanta un enorme potenziale per il sequestro del carbonio.
  • Alla fine del 2018 Yvon Chouinard e il CEO Rose Marcario hanno cambiato la dichiarazione della missione dell’azienda per riflettere questo cambiamento:

“Patagonia è in business per salvare il nostro pianeta“.

Chouinard

Lo stesso Yvon Chouinard spiega l’essenza del suo approccio: “Nessuno costruisce qualcosa del genere se ha intenzione di quotarsi in Borsa entro 3 anni, incassare e sparire. Perciò cerchiamo di agire come se questa impresa dovesse stare qui altri cento anni!”

 

Abbiamo molto da imparare da un approccio di questo tipo e anche noi nel nostro piccolo possiamo ambire a contribuire a qualcosa di più grande. Il Prof. Csikszentmihalyi, grande amico di Chouinard, definisce questo nostro importantissimo bisogno:

 

“Noi tutti abbiamo bisogno di sapere che le nostre vite non sono sprecate e che lasceremo qualche orma nella sabbia del tempo. Dobbiamo essere convinti che la nostra esistenza serve a uno scopo utile e che ha valore.” (Csikszentmihalyi, Buon Business)

La filosofia della Pura Vida e il Flow sono poi così tanto diversi? In questo articolo andremo ad approfondire cos’hanno in comune questi due approcci alla vita.

Ho da poco finito di leggere Pura Vida, un libro molto interessante di Gianluca Gotto, in cui viene presentata in modo semplice e chiara la filosofia di vita degli abitanti della Costa Rica.
L’espressione “Pura Vida” non viene solo usata come augurio, ringraziamento o saluto, rappresenta un vero e proprio stile di vita che può essere riassunta in sei pilastri.

I sei pilastri della Pura Vida

  • Primo Pilastro: Fiducia: verso se stessi e verso gli altri. Fiducia non vuol dire credere che tutto andrà sempre bene, ma non partire dal presupposto che tutto andrà male. Il modo migliore per raggiungere questa consapevolezza è non isolarsi. Appartenere ad una comunità ci permette di ricevere un supporto e un aiuto nei momenti di bisogno, ci aiuta ad abbassare le nostre difese ed aprirci agli altri. Noi possiamo contare sugli altri membri della comunità, ma allo stesso modo gli altri conteranno su di noi. Questo ci farà sentire sempre utili e importanti.
  • Secondo Pilastro: Passione: vuol dire vivere la vita con il cuore, godersi ogni istante, essere pienamente presente in quello che si fa. Bisogna godersi il processo senza aver paura dell’obiettivo finale. Per raggiungere questo stato è necessario pensare meno e vivere di più, abbandonando ansia, fretta e superficialità.
  • Terzo Pilastro: Lentezza: bisogna imparare a rallentare nella vita. La vita vissuta lentamente permette di godersi ogni sfumatura di colore. Vivere sempre di corsa ci proietta nel futuro, invece noi dobbiamo imparare a rimanere nel presente. La Pura Vida insegna a godersi il viaggio senza essere ossessionati dall’arrivare a destinazione.
  • Quarto Pilastro: Natura: coltivare un rapporto profondo con la natura ci aiuta a superare il senso di solitudine e paura che a volte proviamo. Riconnetterci con la Pachamama, ovvero la Madre Terra, con una passeggiata in un bosco, osservando il cielo stellato o fermandoci ad assaporare la sensazione del sole sulla nostra pelle, ci permette di sentirci tutti parte di qualcosa di più grande. Noi siamo parte del tutto, non siamo soli.
  • Quinto Pilastro: Semplicità: quando abbiamo dei problemi tendenzialmente iniziamo a pensare troppo, ci facciamo sopraffare dalle paranoie, dai rancori e dall’orgoglio dimenticandoci che spesso la soluzione si trova nella semplicità. Analizzando i nostri problemi ci renderemmo conto che la soluzione più semplice spesso è quella giusta. Inoltre, la Pura Vida ci insegna che ciò che ci rende più felice non è la ricchezza o gli oggetti materiali, ma la compagnia delle persone care e fare ciò che ci fa stare bene.
  • Sesto Pilastro: Spontaneità: così come la vegetazione continua a crescere ed espandersi ininterrottamente seguendo il flusso della vita, anche noi dovremmo imparare a seguire il moto della spontaneità e continuare a crescere. Per farlo dobbiamo superare le nostre resistenze al cambiamento che tendono a farci rimanere nella nostra comfort zone. Vivere con spontaneità vuol dire seguire il nostro cuore, fare quel viaggio che abbiamo sempre voluto fare e realizzare il nostro sogno nel cassetto. Potrà capitare di andare incontro a qualche fallimento e delusione, ma almeno il nostro cuore sarà libero dai rimpianti.

La semplicità, la spensieratezza e la passione che caratterizza i ticos, ovvero gli abitanti della Costa Rica, mi ha molto incuriosito. Ho scoperto che sono tra i popoli più felici al mondo, allora mi sono chiesta: è possibile vivere la Pura Vida anche qui da noi?

Lo stato di Flow

Secondo me è possibile vivere in modo felice seguendo i pilastri della Pura Vida anche senza mare caraibico, foreste tropicali e animali di ogni tipo (ovviamente questi aspetti aiutano molto!). Come?

Vivendo il più possibile nello stato di Flow.

Il Flow è uno stato mentale, ideato dal Prof. Csíkszentmihályi, in cui una persona si trova completamente immersa, concentrata e coinvolta in un’attività. Le sensazioni tipiche di questo stato sono piena felicità, benessere e godimento. Vediamo come possiamo associare alcuni degli elementi del Flow ai pilastri della Pura Vida:

  • Primo pilastro (Fiducia) – Bilanciamento sfide-abilità: se le difficoltà del compito che stiamo svolgendo sono in equilibrio con le nostre capacità, riusciremo ad entrare in Flow. Il Flow permette di migliorare le nostre performance in maniera significativa, raggiungendo delle prestazioni ottimali e donandoci un senso di appagamento e di fiducia in noi stessi. Se le sfide sono troppo elevate proveremo un senso di ansia e la fiducia nelle mie capacità sarà inferiore. Per tornare in equilibrio basterà abbassare il livello di sfida o aumentare le mie capacità.
  • Secondo pilastro (Passione) – Motivazione intrinseca: l’attività che svolgiamo è autotelica, cioè mi piace farla a prescindere delle ricompense che ne otterrò. Quando svolgiamo un compito con passione riusciamo ad apprezzarne ogni momento. Ciò che ci fa stare bene è svolgere l’attività stessa e non il suo completamento o il raggiungimento dell’obiettivo. Apprezziamo di più il viaggio rispetto ad arrivare a destinazione.
  • Terzo pilastro (Lentezza) – Distorsione del tempo: siamo abituati a riempire il nostro tempo di attività spesso inutili o poco soddisfacenti, controlliamo costantemente l’ora e programmiamo tutto nei minimi dettagli. Se non abbiamo niente da fare spesso accendiamo la televisione e trascorriamo il nostro tempo passivamente. Quando invece facciamo qualcosa in cui mettiamo la nostra attenzione e le nostre energie, proviamo un senso di felicità. Quello che proviamo in quel momento ci assorbe così tanto da non accorgerci del tempo che passa, non abbiamo bisogno di guardare continuamente l’orologio perché siamo in perfetta armonia, abbiamo trovato il nostro ritmo interiore. Questo ci consente di goderci ogni istante vivendo nel qui e ora.
  • Quarto pilastro (Natura) – Perdita della coscienza del sé: quando siamo in Flow abbassiamo tutte le protezioni che solitamente servono a proteggerci dal giudizio e dai pensieri degli altri nei nostri confronti. Ciò che è importante è la connessione profonda con ciò che stiamo facendo e ciò che ci circonda. Raggiungendo questo stato ci sentiamo parte del tutto, siamo in profonda armonia con noi stessi e con l’ambiente che ci circonda.
  • Quinto Pilastro (Semplicità) – Unione tra azione e pensiero/Attenzione focalizzata: quando siamo in Flow la nostra mente e il nostro corpo sono in perfetta armonia, ciò che con la mente immagino di fare, riesco a metterlo in pratica con il corpo. Questo è possibile mantenendo una piena concentrazione sull’azione che stiamo svolgendo. Quando si raggiunge questo stato tutto sembra semplice, i pensieri che ci distraggono spariscono ed esiste solo quello che stiamo facendo.
  • Sesto Pilastro (Spontaneità) – Senso di controllo: riusciamo ad avere il pieno controllo delle nostre azioni, sappiamo esattamente quello che serve fare e le nostre azioni fluiranno spontaneamente, passo dopo passo. Se non abbiamo la piena libertà di agire secondo la nostra volontà perché siamo controllati in modo rigido, difficilmente riusciremo ad entrare in Flow.

Come abbiamo visto ci sono molti aspetti in comune tra la filosofia della Pura Vida e il Flow. La chiave per raggiungere la felicità sembra essere quella di fare ciò che amiamo, mantenendo la nostra presenza nel qui ed ora e svolgendo con passione e in modo semplice un compito alla volta, e ricordandoci che la vita va presa con leggerezza. Vivere queste sensazioni anche sul luogo di lavoro è possibile ed è ciò che permette alle aziende di avere alti risultati e allo stesso tempo le proprie persone soddisfatte e felici.

Ridere, giocare, divertirsi sono gli ingredienti essenziali per raggiungere la felicità nella nostra vita privata e lavorativa.

 

Pura Vida a tutti!

 

Sara Cascio

Come ogni anno arriva quel momento di fine luglio in cui con la testa si è proiettati verso le vacanze, ma è necessario ancora far fronte alle ultime incombenze lavorative, alle chiusure, alle ultime riunioni in cui tutti sono agitati e ansiosi di riuscire a terminare in tempo i loro compiti. Questo periodo stressante e caotico porta le persone a perdere le ultime energie ritrovandosi spesso ad avere “le batterie quasi al minimo”. In questo articolo vedremo come ricaricare le batterie con il Flow.

ricaricare batterie con flow

Come possiamo ricaricare le nostre batterie?

Un modo per recuperare energia e sentirci felici e appagati arriva dal Prof. Mihaly Csikszentmihalyi, ovvero la Teoria del Flow.

Quando siamo in Flow riusciamo ad ottenere uno stato di completo benessere mentale raggiungendo una sensazione di concentrazione energica, pieno coinvolgimento e godimento.
Quindi, il modo migliore per ricaricare le nostre batterie durante le vacanze è quello di trovare delle attività che ci consentano di raggiungere questo stato mentale, vediamo come:

  • Obiettivi chiari:  bisogna innanzitutto trovare qualche cosa da fare, scegliendo l’attività più adatta per noi, come visitare qualche posto, fare una partita a racchettoni o leggere un buon libro.
  • Bilanciamento sfide e abilità: dobbiamo scegliere un’attività che non ci faccia annoiare, ma allo stesso tempo che non sia troppo difficile per noi. Bisogna trovare il giusto livello di sfida. Per esempio se decidiamo di fare una partita a tennis, assicuriamoci che il nostro avversario non sia Djokovic!
  • Feedback non ambiguo: è importante tenere sotto controllo tutti i segnali in modo da capire se stiamo continuando nella direzione desiderata.
  • Attenzione focalizzata: dedichiamo tutta la nostra attenzione all’attività che abbiamo scelto, lasciamo da parte il cellulare e cerchiamo di vivere nel momento presente. Occupiamoci di un’attività alla volta.
  • Unione tra azione e consapevolezza: la mia mente e il mio corpo dovranno essere in perfetta armonia. Nel momento in cui penso di fare una cosa, il mio corpo la metterà in pratica.
  • Senso di controllo: cerchiamo di svolgere un’attività in cui ci sentiamo padroni delle nostre azioni, qualcosa che ci dia la libertà di poter scegliere come agire.
  • Perdita della coscienza del sé: sentiamoci liberi di agire. Quando siamo in flow, tutte le protezioni che ergiamo per proteggere il nostro ego crollano. Se abbiamo voglia di fare un castello di sabbia in spiaggia, lo faremo senza pensare a cosa potrebbero pensare di noi, divertiamoci!
  • Distorsione del tempo: se troviamo l’attività giusta il tempo passerà in fretta e noi ci renderemo conto di non aver guardato neanche una volta l’orologio.
  • Motivazione intrinseca: scegliamo un’attività autotelica, ovvero che ci faccia stare bene durante tutto il tempo in cui la svolgiamo. Innamoriamoci del processo, non solo del risultato. Se la nostra attività è fare una camminata in montagna, godiamoci la salita, ogni sensazione positiva che proviamo, concentriamoci sulle piccole cose che vediamo, come i fiori, le farfalle, il ruscello che scorre lungo il sentiero, solo così potremmo poi goderci la vista dalla cima.

Siamo ossessionati dal dover ricaricare il nostro cellulare appena vediamo che la batteria è bassa, senza pensare che anche noi, come persone, consumiamo la nostra energia e abbiamo, quindi, bisogno di ricaricarci. Spesso tendiamo a sottovalutare questo bisogno, fino ad arrivare al limite. Avere una carica completa di energia ci permette di vivere meglio e di essere più efficaci in quello che facciamo. La qualità delle nostre azioni sarà elevata e noi potremmo goderci ogni momento e ogni sensazione positiva. Ricaricare le batterie con il flow è un modo per riprendersi dallo stress quotidiano, mantenendo la mente attiva.

Vi auguriamo, in queste vacanze, di poter trovare delle attività stimolanti che vi facciano entrare in flow e che vi ricarichino completamente!

Il team di CapoLeader

Mi è capitato recentemente di rivedere un film d’animazione che ha catturato la mia attenzione. Mi ha colpito il fatto che rappresentasse molto approfonditamente lo stato di Flow. Molte persone sono convinte che i film d’animazione siano solo per bambini. Questo non è assolutamente vero. Le riflessioni e gli insegnamenti che vengono proposti al loro interno sono molto profondi e sono adatti anche per gli adulti. In alcuni casi, solo una persona che ha già affrontato sfaccettature diverse della propria esistenza riuscirà a comprendere appieno il significato.

In questo articolo andremo ad analizzare un famoso film d’animazione della Disney Pixar: Soul.

La storia

Joe Gardner insegna musica alle scuole medie, ma il suo sogno è quello di suonare nel jazz club di New York e di diventare un importante pianista jazz. L’occasione sembra arrivare quando viene chiamato per sostituire un musicista nel complesso di una nota sassofonista, Dorothea Williams.

Joe impressiona Dorothea con il suo modo di suonare il pianoforte e gli viene offerto il lavoro. Mentre Joe si avvia felicemente per prepararsi per la sua prima vera esibizione quella notte, cade in un tombino. Joe sotto forma di anima si ritrova nell’Altro Mondo. Non volendo morire prima della sua grande occasione, cerca di scappare, ma finisce nell’Ante Mondo, dove i consulenti delle anime, creano giovani anime per la vita sulla Terra.

Joe si finge uno dei mentori che dovranno aiutare le giovani anime a trovare la propria “scintilla”, che consentirà loro di ottenere il pass per andare sulla Terra ed iniziare la propria vita. A Joe verrà assegnata 22, un’anima non intenzionata a vivere con la quale comincerà un viaggio, tra il mondo reale e Ante Mondo, che permetterà a entrambi di vedere la vita con occhi nuovi apprezzandola in un modo diverso e unico.

Il Flow

Nel film viene rappresentato molto bene cosa capita quando una persona si trova nello stato di Flow, ovvero uno stato mentale di massima concentrazione e consapevolezza ideato dal Prof. Csikszentmihalyi. 22 mostra a Joe un luogo dove le persone si trovano “in bolla”, uno stato intermedio tra ciò che è fisico e ciò che è spirituale. Quando le persone sono pienamente coinvolte nell’attività che stanno svolgendo è come se fossero estraniate dall’ambiente in cui si trovano, sono pienamente concentrate e raggiungono le loro massime performance. 22 mostra a Joe cosa succede quando questo stato viene disturbato. Nel momento in cui questa “bolla” si rompe le persone immediatamente si distraggono e fanno errori, perché perdono quella connessione che univa la loro mente e il loro corpo.

Joe impara che essere in “bolla” crea gioia, ma quando la gioia diventa un’ossessione avviene il distacco dalla vita. Infatti poco dopo incontra delle figure mostruose che vagano nel buio, incuriosito chiede a 22 chi fossero e scopre che quegli esseri sono delle anime di persone vive che “si sono perse”. Sono persone che non sono riuscite a liberarsi dalle proprie ansie e ossessioni e di conseguenza hanno perso il contatto con la vita. Qui conosce Spartivento, un personaggio che aiuta queste anime a riconnettersi con il proprio corpo terreno e con la bellezza della vita.

Lo stato di Flow è un potente strumento che aiuta le persone a raggiungere prestazioni di qualità, ma va usato con consapevolezza, per raggiungere il Flow è importante essere focalizzati sul proprio obiettivo. Infatti, senza avere chiarezza di cosa si sta facendo e della direzione presa, c’è il rischio di perdersi per strada.

stato di flow

Il senso della vita

Gran parte del film è dedicata alla ricerca della scintilla di 22. Inizialmente si pensa che questa possa essere una passione, uno sport, un hobby, una professione. Joe, quindi, fa provare a 22 diverse attività come cucinare, fare il pompiere, disegnare, dipingere e fare l’atleta, senza ottenere risultati. La scintilla di 22 si accenderà solo dopo aver vissuto sulla Terra, nel corpo di Joe per qualche ora.

Quello che Joe scoprirà è che la “scintilla” non rappresenta, come pensava lui, lo scopo di vita, quindi una passione o un’attività in cui siamo bravi. L’espressione del nostro talento non è la nostra missione di vita.

Spesso siamo convinti che solo trovando il nostro scopo di vita riusciremo a raggiungere la felicità. Ma cosa capita quando ci rendiamo conto che ciò che pensavamo fosse il nostro scopo non ci regala la gioia desiderata? È quello che è successo a Joe dopo essere riuscito finalmente ad avere il posto nel quartetto di Dorothea Williams. Era convinto che la musica fosse il suo scopo, ma dopo aver ottenuto quello che desiderava si rende conto di non essere felice e di provare un senso di vuoto. Quando racconta questa sua sensazione a Dorothea, lei gli risponde con un aneddoto che parla di un pesce che va da un pesce più anziano e gli dice: “sto cercando l’oceano”. “L’oceano?” risponde il pesce più vecchio. “È quello in cui nuoti adesso”. “Questo?” dice il giovane pesce. “Questa è acqua. Io, invece, cerco l’oceano.”

Siamo convinti che l’oceano corrisponda a qualcosa di più grande, al nostro scopo, alla nostra missione, senza renderci conto che probabilmente stiamo cercando qualcosa che già abbiamo.

La “scintilla” è il senso della vita, si accende solo quando siamo pronti a vivere, quando superiamo il nostro senso di inadeguatezza che ci porta a pensare di non essere mai abbastanza.

La “scintilla” sta nell’essere capaci di stupirci e nel non dare nulla per scontato. Si accende quando impariamo ad apprezzare la bellezza della vita, le piccole cose, i dettagli e i particolari. Possiamo trovare il senso della vita guardando un tramonto o una foglia che cade, assaporando una fetta di pizza, ridendo con degli amici, abbracciando una persona cara, ascoltando una musica o annusando un fiore profumato. La felicità è da cercare nel qui ed ora, assaporando ogni momento e ogni istante che abbiamo a disposizione.

Conclusioni

Questi due aspetti principali del film, lo stato di Flow e il senso della vita, dovrebbero arricchire gli ambienti lavorativi. Se veramenente vogliamo implementare una cultura aziendale basata sul coinvolgimento e la motivazione, è necessario promuovere lo stato di Flow e di piena soddisfazione dei collaboratori, nonchè mettere in atto tutte le strategie necessarie a fargli percepire il senso di scopo e di significato per l’attività che stanno eseguendo.

 

 

Sara Cascio