Abbiamo visto nel precedente articolo sull’insoddisfazione al lavoro che la qualità della leadership ha un impatto importante sulla soddisfazione dei collaboratori; questo concetto è stato analizzato e argomentato attraverso il Principio di Peter. Si tratta di uno studio abbastanza datato, ma molto attuale ai giorni nostri.

Il “Principio di Peter” è un concetto formulato da Laurence J. Peter nel suo libro del 1969 intitolato “The Peter Principle: Why Things Always Go Wrong”. Questo principio è utilizzato nel contesto organizzativo e alla gestione aziendale ed esprime l’idea che le persone tendano ad essere promosse fino a raggiungere il loro livello di incompetenza all’interno di un’organizzazione.

“Ogni membro in una gerarchia tende a elevarsi al suo livello di incompetenza.”

Il principio suggerisce che quando le persone sono impiegate in un’organizzazione, vengono promosse in base alle loro abilità e competenze attuali. Tuttavia, una volta promosse, continueranno a essere promosse fino a quando non raggiungeranno un punto in cui non sono più in grado di svolgere efficacemente le nuove responsabilità e il nuovo ruolo.

Questo accade perché le abilità e le competenze che rendono una persona eccellente in una posizione possono essere diverse da quelle richieste per posizioni di livello superiore. In particolare le abilità richieste non saranno più quelle tecniche, facilmente allenabili con un’adeguata formazione, ma saranno quelle trasversali, anche chiamate soft skill.

A prescindere dall’attendibilità del  Principio di Peter possiamo ricavare i seguenti spunti:

  1. Le organizzazioni rischiano di avere persone in posizioni manageriali che non sono adeguatamente preparate per svolgere il proprio lavoro.
  2. La sida per la crescita della carriera è quella di vincere le resistenze dovute al proprio livello di incompetenza e colmare questo gap.
  3. Chi non è in grado di fare il passaggio precedente rischia di trovarsi nella stessa posizione a lungo, in un’area di probabile insoddisfazione.

Per mitigare il Principio di Peter, le organizzazioni possono prendere in considerazione le competenze e le capacità necessarie per una posizione prima di promuovere qualcuno e dovrebbero fornire formazione e sviluppo per aiutare le persone a crescere nelle loro nuove responsabilità. Nelle maggior parte dei casi queste competenze attengono alle soft skill. I nostri percorsi puntano a migliorare proprio queste abilità attraverso una modalità esperienziale e altamente partecipativa, garantendo alti livelli di apprendimento.

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principio di peter

Secondo un sondaggio condotto da Gallup solo il 4% degli italiani si sente appagato e felice del proprio lavoro. Questo vuol dire che 96 persone su 100 si sentono insoddisfatte, demotivate o infelici al lavoro. Infatti, se ci guardiamo intorno il mattino in metropolitana o in treno, possiamo notare che la maggior parte delle persone non sembrano felici o entusiaste per la giornata lavorativa che li aspetta. Spesso non è facile definire i fattori precisi che ci rendono infelici, così abbiamo preparato un elenco di possibili cause di insoddisfazione.
E tu sei insoddisfatto del tuo lavoro?

  1. Mancanza di sfide: le persone possono sentirsi annoiate e sotto-utilizzate se il lavoro diventa monotono e privo di sfide, il che può portare a una perdita di interesse e motivazione.
  2. Assenza di riconoscimento: La mancanza di feedback positivo e di ricompense per i risultati ottenuti può far sentire ai dipendenti che i loro sforzi non sono apprezzati o riconosciuti.
  3. Scarso equilibrio tra sforzo e ricompensa: Se i dipendenti sentono di investire più energia e impegno di quanto ricevano in termini di salario, opportunità di crescita o riconoscimento, possono diventare demotivati.
  4. Assenza di significato: se i lavoratori non riescono a vedere il significato o l’importanza della loro attività all’interno dell’organizzazione, possono perdere la motivazione a impegnarsi.
  5. Ambiente di lavoro tossico: Un ambiente di lavoro caratterizzato da conflitti, discriminazione, bullismo o mancanza di collaborazione può avere un impatto negativo sulla motivazione e sul benessere dei dipendenti.
  6. Mancanza di controllo: quando i dipendenti non hanno la possibilità di influenzare le decisioni che riguardano il proprio lavoro o non possono prendere decisioni autonome, possono sentirsi privi di potere e poco motivati.
  7. Difficoltà nella gestione vita-lavoro: una delle cause di demotivazione può essere la difficoltà nel definire i confini tra il lavoro e la vita personale o una corretta pianificazione delle proprie attività.
  8. Obiettivi irraggiungibili: L’assegnazione di obiettivi troppo ambiziosi o irrealistici può portare a sensazioni di frustrazione e demotivazione quando i dipendenti non riescono a raggiungerli.
  9. Paura del fallimento: spesso nelle aziende è diffusa una cultura di non tolleranza del fallimento e dell’errore, considerandoli come insuccesso invece che come opportunità di apprendimento e crescita.
  10. Paura del cambiamento: il lavoro è spesso considerato come una delle fonti principali di sicurezza, poichè garantisce una stabilità economica e un riconoscimento sociale. Ma quando non ci sentiamo più allineati ad esso, a volte, può risultare difficile prendere coraggio e lasciarlo per trovarne uno che ci appaghi maggiormente. Rimaniamo ancorati ad una situazione che non ci fa stare bene solo per paura di quello che potrebbe succedere cambiando.

insoddisfatto del proprio lavoro

Per riassumere, possiamo dire che queste 10 cause di insoddisfazione lavorativa possono essere categorizzate in tre aree:

  • Cause personali: comprendono tutte le situazioni in cui siamo noi stessi che ci sabotiamo o interpretiamo in un certo modo quello che capita in base alle nostre convinzioni.
  • Cause relazionali: rappresentano tutte quelle situazioni in cui il problema nasce dalla relazione diretta con i colleghi o con i superiori
  • Cause culturali: ovvero quelle dinamiche disfunzionali che fanno parte della cultura dell’azienda da molto tempo e che diventano difficili da modificare.

Alla luce di quanto emerso, sei insoddisfatto del tuo lavoro? Ti rivedi in alcune di queste situazioni?

La domanda che sorge spontanea è “C’è una responsabilità della leadership dietro queste cause di insoddisfazione?“.
Ovviamente la risposta è si!

Probabilmente ci sono delle abilità necessarie per andare incontro a questi gap che non sono state abbastanza sviluppate (le abbiamo viste nel nostro articolo sulla “nuova leadership“) e che necessitano di uno specifico allenamento. Insomma capi “incompetenti” sono causa di molte delle insoddisfazioni dei collaboratori. Approfondiremo alcune interessanti riflessioni su questo punto nelle prossime puntate della newsletter… quindi stay tuned!

Oggi andiamo ad analizzare il quinto pilastro della “nuova” leadership, ovvero la gestione del tempo.
La gestione del tempo è l’abilità di pianificare e organizzare le attività in modo efficiente al fine di massimizzare la produttività e ottenere risultati soddisfacenti. Una buona gestione del tempo è essenziale per evitare lo stress, completare i compiti in modo tempestivo e raggiungere gli obiettivi personali e professionali.

Come possiamo imparare a pianificare correttamente il nostro tempo?
Possiamo utilizzare la Matrice di Eisenhower, uno strumento di gestione del tempo e di pianificazione delle attività in base all’urgenza e all’importanza di ciascuna.
Incrociando queste due dimensioni otteniamo quattro quadranti:

gestione del tempo

  1. Urgente e Importante: all’interno del primo quadrante andranno inserite le attività prioritarie, che necessitano di essere svolte immediatamente e che non sono delegabili
  2. Non Urgente e Importante: questo quadrante comprende le attività che sono importanti ma non richiedono un’azione immediata. Sono le attività che contribuiscono agli obiettivi a lungo termine, come la pianificazione strategica, l’apprendimento, la pianificazione delle attività future o il miglioramento delle competenze.
  3. Urgente e Non Importante: comprende le attività che sono urgenti ma non contribuiscono direttamente ai propri obiettivi principali. Sono spesso attività di routine, richieste degli altri o interruzioni che possono distoglierti dai compiti importanti.
  4. Non Urgente e Non Importante: questo quadrante comprende le attività che non sono né urgenti né importanti. Sono attività di svago, distrazioni o compiti che non contribuiscono in modo significativo ai propri obiettivi.

Capire in quale quadrante inserire ciascuna attività o compito è fondamentale per poter pianificare correttamente le nostre giornate. Quando invece il tempo non viene gestito in modo adeguato, si può andare incontro alla:

  • mancanza di completamento delle attività
  • procrastinazione
  • sensazione di sovraccarico e stress
  • difficoltà nel concentrarsi
  • mancanza di equilibrio tra vita e lavoro

Quante volte capita di incontrare per i corridoi della propria azienda persone di corsa, in perenne ritardo e agitazione? Questo capita soprattutto quando si passa molto tempo nel quadrante Urgente e Importante della Matrice di Eisenhower. La sensazione che proviamo è quella di non riuscire a stare dietro agli eventi, siamo sempre di corsa e affannati. Proprio come il Bianconiglio, il personaggio della storia di “Alice nel Paese delle Meraviglie”.

La strategia più utile per una gestione gestire efficace è quella di passare la maggior parte del nostro tempo nel quadrante Non Urgente e Importante, lavorando in modo preventivo sui compiti, in modo da evitare che diventino urgenze.
E’ anche molto importante svolgere un solo compito alla volta, dedicandogli la nostra completa attenzione. Questo faciliterà l’ingresso nello stato di Flow e di conseguenza ogni distrazione sparirà, la qualità del nostro lavoro migliorerà e le nostre energie non saranno disperse.
Inoltre, prendersi delle pause tra un compito ed un altro per poter ricaricare le energie diventa fondamentale per il proprio benessere fisico e mentale, ma non solo. Investire in momenti di riposo contribuisce a migliorare la produttività, la qualità, la creatività, la chiarezza mentale e a ridurre lo stress, portando a una maggiore soddisfazione e successo nel lavoro.

Vuoi capire come gestire il tuo tempo in modo efficace? Manda una mail a contatta@capoleader.com per avere più informazioni sui nostri percorsi.

Nello scorso articolo abbiamo introdotto il concetto della consapevolezza relazionale e di quanto sia importante per poter creare un clima di lavoro sano e basato sulla collaborazione. Oggi facciamo un passo in più e andiamo ad analizzare il motivo per cui sia fondamentale lavorare sulla creazione di un network di leader.

La capacità di fare networking sta diventando una delle competenze essenziali per affrontare la realtà attuale. Nel suo Tedx, Alberto Bezzi, ci racconta quali devono essere i 5 presupposti per far funzionare il networking:

  1. Volontà: la forza del network sta nel desiderio di voler aiutare gli altri
  2. Confronto: per ampliare gli orizzonti e vedere punti di vista diversi
  3. Autorevolezza: accresce il nostro know how e quindi la nostra autostima
  4. Feedback: il network per essere efficace ha bisogno di attenzioni e deve essere nutrito
  5. Relazioni: conoscere meglio le persone con cui lavoriamo

I vantaggi del network di leader

Creare un network di leader in azienda può portare moltissimi vantaggi:

  • Scambio di conoscenze: un network di leader permette lo scambio di conoscenze e competenze tra individui con lo stesso ruolo ma in reparti diversi. Questo scambio può portare a un arricchimento reciproco e favorire l’apprendimento continuo. I leader possono condividere strategie di successo, affrontare sfide comuni e discutere soluzioni efficaci, contribuendo così alla crescita collettiva dell’azienda.
  • Supporto: se un leader sta affrontando una situazione problematica o non riesce a superare un ostacolo, può chiedere aiuto agli altri leader. Molto probabilmente alcuni di loro avranno già affrontato una situazione simile e saranno in grado di raccontare quali strategie hanno funzionato e quali meno per gestire la situazione. L’ascolto delle esperienze degli altri può accelerare il percorso di apprendimento, fornendo una prospettiva più ampia e nuove idee per affrontare situazioni simili.
  • Opportunità di collaborazione: attraverso il network, i leader possono identificare sinergie, condividere risorse e lavorare insieme per affrontare sfide comuni o perseguire obiettivi condivisi. Questa collaborazione può portare a risultati più significativi e ad un impatto più ampio rispetto a quanto sarebbe possibile raggiungere individualmente.
  • Ampliamento delle prospettive: interagire con leader provenienti da contesti diversi può aprire la mente e fornire nuove prospettive. Lavorare con persone che hanno background e esperienze diverse può aiutare a superare i limiti delle proprie conoscenze e i preconcetti. Ciò può portare a soluzioni innovative e creative per le sfide attuali e future.
  • Crescita personale e professionale: Essere parte di un network di leader offre opportunità di crescita personale e professionale. Attraverso le interazioni con altri leader, si può sviluppare la propria leadership, migliorare le abilità di comunicazione, acquisire fiducia e costruire una rete di contatti preziosa. Questo può aprire porte per nuove opportunità di carriera e sviluppo personale.

La potenza di creare un network di leader si vede bene nel video qui sotto:

Il gruppo è più della somma delle singole parti. Questo vuol dire che collaborando si genererà qualche cosa che vada oltre il contributo dei singoli. Proprio come fanno i pinguini per cacciare l’orca, le formiche con il formichiere o i granchi con il gabbiano. Ogni membro del gruppo è essenziale ed importante, ma per funzionare è necessario che tutti condividano lo stesso obiettivo e che sappiano qual è il loro ruolo.

Uno degli obiettivi dei nostri percorsi è quello di aiutare i leader a potenziare il network con i propri peer. Grazie alle condivisioni di esperienze e strategie, si mettono le basi per creare un team di colleghi pronti a supportarsi, in caso di bisogno. Queste relazioni possono essere preziose per il futuro, sia a livello professionale che personale.

network di leader

Nell’articolo della scorsa settimana abbiamo parlato del secondo pilastro da allenare, ovvero la comunicazione. Con la cultura dello Speak Up le persone imparano a dire quello che pensano senza timore. Il feedback è lo strumento più efficace per farlo. Oggi facciamo un passo in più e andiamo a vedere l’impatto di una buona comunicazione sulla consapevolezza personale, emotiva e relazionale.

Il feedback, se dato correttamente, rappresenta un prezioso regalo per chi lo riceve, perchè permette di scoprire delle informazioni su noi stessi che fino a quel momento facevano parte della nostra “zona cieca”. Con il termine zona cieca ci riferiamo al quadrante della La finestra di Johari rappresentante ciò che è noto agli altri, ma non è noto per la persona stessa. L’unico modo per acquisire le informazioni in questa area cieca è attraverso il feedback diretto. Questo ci consente di ottenere una maggiore consapevolezza di come siamo percepiti dagli altri e di come il nostro comportamento influenzi le relazioni e l’ambiente circostante. Il feedback, quindi,  ci permette di avere una visione più oggettiva di noi stessi e delle nostre azioni, evidenziando gli aspetti che potrebbero non essere subito evidenti.

consapevolezza

La consapevolezza personale

Grazie al feedback e ad una costante osservazione di se stessi possiamo accrescere per prima cosa la consapevolezza legata alle nostre competenze. Questo risulta più facile per le hard skill, ovvero quelle competenze tecniche, misurabili e valutabili che si acquisiscono attraverso l’apprendimento formale o l’esperienza pratica. Queste competenze sono spesso specifiche del settore o del lavoro e richiedono una formazione specifica o una conoscenza specialistica. Ad esempio, per un informatico sarà facile capire il proprio livello di competenza rispetto alla programmazione, la gestione dei database e la sicurezza informatica. Più difficile risulterà valutare le proprie soft skill, ovvero, le abilità personali, sociali e comportamentali che influenzano la nostra capacità di interagire efficacemente con gli altri, di adattarci all’ambiente lavorativo e di raggiungere i nostri obiettivi personali e professionali. Alcuni esempi di soft skill possono essere il problem solving, la creatività e la collaborazione. Avere qualcuno che ci dia informazioni oggettive e dettagliate sulla nostra capacità di gestire un conflitto ci permetterà di avere una visione dall’esterno del nostro comportamento molto utile, dato che probabilmente noi non saremo in grado di valutarci in modo efficace. Un modo per farlo può essere predisporre degli assessment che vadano a valutare le proprie soft skill in modo obiettivo. Invece che utilizzare assessment formati da domande chiuse e molto strutturati, risultano molto più vantaggiosi delle valutazioni coinvolgenti come i role play. Un esempio di assessment di questo tipo è il report di Fligby. Dopo ogni partita viene rilasciato un report dettagliato su 29 abilità di leadership del giocatore, fornendo una fotografia del momento attuale in base alle decisioni e alle interazioni fatte.

La consapevolezza emotiva

La consapevolezza emotiva riguarda la capacità di riconoscere, comprendere e gestire le proprie emozioni e quelle delle altre persone. Alla base di una corretta comprensione emotiva c’è l’ascolto empatico. Un buon leader sa ascoltare le proprie persone e in particolare sa accogliere l’emozione che stanno provando. Così come fa Tristezza con Bing Bong nel video qui sotto. A volte è necessario vivere l’emozione che si sta provando senza cercare di reprimerla o cambiarla, come invece tenta di fare Gioia. L’accoglienza delle emozioni degli altri da parte di un leader non significa necessariamente risolvere tutti i problemi o soddisfare tutte le richieste, ma piuttosto dimostrare comprensione, empatia e supporto. Questo crea un ambiente di lavoro più inclusivo, collaborativo e resiliente, in cui le persone si sentono valorizzate e supportate nel loro benessere emotivo.

La consapevolezza relazionale

La consapevolezza relazionale si riferisce alla capacità di essere consapevoli delle dinamiche interpersonali, delle relazioni e degli effetti che i nostri comportamenti e le nostre azioni hanno sugli altri. E’ essenziale per poter costruire delle relazioni solide e collaborative. Un buon leader riconosce l’importanza di ogni membro del suo team e sa che solo lavorando insieme si riusciranno a raggiungere gli obiettivi desiderati. Un leader consapevole delle relazioni è attento all’impatto che i suoi comportamenti e le sue azioni hanno sugli altri. È consapevole dell’importanza di essere un modello positivo e di agire in modo coerente con i valori e gli obiettivi del team. Questo crea un ambiente di lavoro armonioso e ispiratore, in cui tutti sono motivati a dare il massimo. Se creiamo dei network, ad esempio di leader, che siano funzionali a percorsi di sviluppo manageriali riusciamo a convogliare le esperienze dei vari peer e accelerare il percorso di apprendimento. Non vogliamo anticiparvi troppo l’argomento perchè lo tratteremo nell’articolo della prossima settimana.

I nostri percorsi hanno come obiettivo quello di aiutare le persone ad aumentare la propria consapevolezza personale, emotiva e relazionale, al fine di creare un ambiente di lavoro in cui le persone si sentano bene e siano soddisfatte. Vuoi avere più informazioni sulla nostra metodologia?
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consapevolezza personale, emotiva e relazionale