ARTICOLO DEL BLOG:

CONCENTRARSI SULLA
POSITIVITA'

La psicologia positiva è un ramo della psicologia relativamente giovane, che ha rivoluzionato il modo in cui pensiamo al benessere e alla felicità. 

La psicologia positiva è un ramo della psicologia relativamente giovane, che ha rivoluzionato il modo in cui pensiamo al benessere e alla felicità. 

Fondata ufficialmente negli anni ’90 dallo psicologo Martin Seligman, e successivamente arricchita dal Professor Mihály Csíkszentmihályi, con il concetto di Flow, si è sviluppata come una risposta all’approccio tradizionale della psicologia, che fino ad allora si era concentrata soprattutto sulla malattia mentale e sulla sofferenza. Viene proposta una nuova domanda: perché limitarci a curare ciò che non va quando possiamo coltivare ciò che funziona?

Il suo obiettivo è scoprire i fattori che ci rendono felici, resilienti, ottimisti e soddisfatti, e come possiamo rafforzarli nella vita di tutti i giorni.

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Storicamente, la psicologia ha posto l’accento su una domanda fondamentale: “Cosa c’è che non va nelle persone?” Questo approccio, che ha dominato gran parte della ricerca psicologica del XX secolo, ha portato a importanti scoperte e trattamenti per molte malattie mentali. Tuttavia, concentrarsi solo sui problemi e sui deficit può limitare la nostra comprensione di cosa renda veramente la vita soddisfacente.

La positività non ignora le difficoltà della vita, ma sposta l’attenzione su ciò che ci aiuta a crescere e a trovare significato anche nelle sfide. Ad esempio, promuove pratiche semplici ma potenti, come la gratitudine, che può migliorare il nostro umore e rafforzare le relazioni, o la resilienza, che ci aiuta a superare momenti difficili senza perderci d’animo. Studi scientifici dimostrano che concentrarsi su aspetti positivi, come riconoscere i propri punti di forza e costruire legami sociali significativi, non solo migliora il benessere mentale, ma ha anche benefici fisici, come la riduzione dello stress e il miglioramento della salute cardiovascolare.

FALSE CONVINZIONI DELL’APPROCCIO TRADIZIONALE

Anche se molti ricercatori e professionisti hanno adottato il modello della “malattia” come riferimento principale, spesso questo ha portato a fraintendimenti che vengono trascurati. Comprendere questi errori è stato fondamentale per lo sviluppo della psicologia positiva. Di seguito, esploriamo alcune delle false convinzioni più comuni legate all’approccio tradizionale.

#1: Risolvere ciò che non va porta al benessere

Un’idea diffusa è che correggere i problemi garantisca automaticamente il benessere. Tuttavia, felicità e infelicità non sono due poli opposti su uno stesso continuum. Ridurre emozioni negative come rabbia e depressione non porta automaticamente a emozioni positive come amore e gioia. La salute mentale, come affermato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, non è solo l’assenza di malattia, ma la presenza di uno stato positivo di benessere. Studi dimostrano che l’assenza di malattia mentale non implica necessariamente la presenza di benessere, e viceversa: alcune persone possono sperimentare alto benessere soggettivo pur avendo disturbi psicologici.

#2: Eliminare il disagio porta alla felicità

Spesso puntiamo a ridurre le emozioni negative come lo stress. Tuttavia, non sempre una riduzione del disagio porta ad un aumento della soddisfazione. Ad esempio, studi sullo stress lavorativo mostrano che non è l’assenza di stress a determinare il benessere, ma il modo in cui lo stress viene affrontato. Lo stress positivo, o eustress, può addirittura migliorare il benessere se viene interpretato come una sfida positiva.  Più che reprimere e eliminare le emozioni negative, dobbiamo imparare a gestirle correttamente. 

#3: Correggere le debolezze porta a prestazioni ottimali

Molti pensano che correggere i propri punti deboli sia la strada per raggiungere prestazioni elevate. Tuttavia, studi dimostrano che sfruttare i propri punti di forza sia più efficace nella strada verso il  successo. Concentrarsi esclusivamente sulle debolezze può portare solo a prestazioni nella media, mentre valorizzare i propri talenti contribuisce a una piena realizzazione del nostro potenziale e a prestazioni straordinarie.

#4: I punti di forza si sviluppano da soli

Si tende a pensare che i punti di forza si sviluppino naturalmente senza bisogno di interventi. Tuttavia, come le abilità, anche i punti di forza possono essere allenati e sviluppati intenzionalmente. Non valorizzare i propri talenti significa limitare il loro impatto positivo sul benessere.

#5: Focalizzarsi sulle aree di miglioramento aiuta a prevenire i problemi

Un’altra credenza è che concentrarsi sulle debolezze possa prevenire i problemi futuri. Per prevenire, bisogna anche focalizzarsi sul costruire competenze e risorse personali, piuttosto che correggere solo le debolezze. Il rischio è che ponendo il focus costantemente sulle aree che non vanno, siamo più predisposti a riconoscere problemi, fallimenti e ostacoli, invece che scoprire opportunità e strategie di apprendimento e miglioramento.

AUTORIFLESSIONE

La vita quotidiana e la società di oggi spesso ci costringono a mettere la nostra attenzione su criticità e problemi e diventa fondamentale la capacità di riportare il nostro focus su aspetti che promuovono la nostra soddisfazione e benessere. 

A questo scopo ti invitiamo a fare una riflessione personale per valutare come indirizzi la tua attenzione quotidiana tra aspetti negativi e positivi della tua vita. Chiediti:

  1. Quando pensi alla tua giornata, quali sono i pensieri che prevalgono? Tendi a focalizzarti maggiormente sugli aspetti problematici, sulle difficoltà e sugli imprevisti che hai affrontato, oppure la tua mente è attratta da momenti positivi, successi e piccole gioie quotidiane? Dedichi del tempo a fine giornata per fare un bilancio tra ciò che è andato bene e ciò che potresti fare meglio?

  2. Come reagisci alle sfide e alle difficoltà? Rifletti su come gestisci le situazioni stressanti: ti concentri principalmente su come risolvere i problemi e superare le difficoltà, oppure il tuo approccio tende a essere più costruttivo, cercando di trovare il lato positivo anche nelle situazioni complesse?

  3. Quanto spazio concedi alle tue emozioni positive? Considera se e quanto frequentemente ti concedi il tempo per riconoscere e apprezzare le emozioni positive, come la gratitudine, la gioia e la soddisfazione. Ti prendi il tempo per celebrare le piccole vittorie e per riconoscere i tuoi successi?

Questo esercizio che riflette l’approccio della Psicologia Positiva ti aiuterà a capire se stai dedicando più attenzione agli aspetti costruttivi o improduttivi della tua vita e a fare eventuali aggiustamenti per promuovere un equilibrio più sano e soddisfacente. La consapevolezza è il primo passo per migliorare il tuo benessere e vivere una vita più appagante.

Per approfondire l’approccio legato alla Psicologia Positiva e al famoso Modello PERMA ideato da Martin Seligman, nell’articolo della prossima settimana andremo ad analizzare i cinque pilastri per una vita soddisfacente: Positive emotions (emozioni positive), Engagement (coinvolgimento), Relationships (relazioni significative), Meaning (significato) e Accomplishment (realizzazione). 

Stay tuned!

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ARTICOLI DEL BLOG

LA CONSAPEVOLEZZA NON RISOLVE TUTTO, MA QUASI

Hai presente quei momenti in cui ti sembra di sbattere sempre contro lo stesso muro?

Cambiano i contesti, cambiano le persone, ma certi problemi tornano puntuali come le pubblicità su YouTube.

👉 Sei sempre di corsa e finisci stremato.
👉 Provi a comunicare bene, ma ti capiscono peggio del correttore automatico.
👉 Cerchi di restare zen, ma ti parte l’embolo con la facilità di una notifica WhatsApp.

Quando succede, spesso scatta la missione: “devo trovare una soluzione”.
Spoiler: a volte non ti serve una soluzione, ma una lente di ingrandimento.
E quella lente si chiama consapevolezza.

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GUIDA- Progettare la Formazione Manageriale che Fa la Differenza

La consapevolezza è una di quelle parole che fanno un figurone nei workshop, su LinkedIn e nelle frasi motivazionali con tramonti di sfondo.
Poi però ti ritrovi a rispondere “tutto bene!” mentre nella tua testa si scatena l’apocalisse, e ti rendi conto che forse… non sei proprio così consapevole.

Nel lavoro, succede spesso: vai in automatico, macini attività, partecipi a riunioni, dici “sì certo, ci penso io” anche quando vorresti solo scappare in Alaska a fare il pastore di renne. Eppure non ti fermi.
Perché “c’è da fare”.
Perché “è così che si lavora”.
Perché “ormai ci siamo dentro”.

Ma fermarsi (anche solo un minuto) per capire dove sei, come stai, e cosa stai facendo davvero… è già un atto rivoluzionario.
E sì, si chiama consapevolezza.
Perché diciamocelo: non si può guidare davvero gli altri se prima non si è consapevoli di come si guida se stessi.

Essere consapevoli significa fermarsi un attimo e chiedersi:

Come sto?

Perché sto reagendo così?

Che impatto ha il mio comportamento sugli altri?

Non è introspezione fine a sé stessa. È la base invisibile di ogni buona leadership.
Un leader consapevole sa quando è centrato e quando è fuori fase. Sa cosa lo motiva, cosa lo fa perdere la bussola, e cosa lo riporta al timone. E solo da lì, può davvero mettersi al servizio del team.
Abbiamo parlato di ascolto, fiducia, confronto autentico.
Ma oggi facciamo un salto in avanti: cosa succede quando questa collaborazione funziona davvero?
Succede che si crea spazio. Spazio per dire cose nuove, per provare strade non battute, per giocare con le idee.
In una parola: creatività.

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TRATTATO SEMISERIO SULLA CONSAPEVOLEZZA

La consapevolezza è una di quelle parole che fanno un figurone nei workshop, su LinkedIn e nelle frasi motivazionali con tramonti di sfondo.
Poi però ti ritrovi a rispondere “tutto bene!” mentre nella tua testa si scatena l’apocalisse, e ti rendi conto che forse… non sei proprio così consapevole.

Nel lavoro, succede spesso: vai in automatico, macini attività, partecipi a riunioni, dici “sì certo, ci penso io” anche quando vorresti solo scappare in Alaska a fare il pastore di renne. Eppure non ti fermi.
Perché “c’è da fare”.
Perché “è così che si lavora”.
Perché “ormai ci siamo dentro”.

Ma fermarsi (anche solo un minuto) per capire dove sei, come stai, e cosa stai facendo davvero… è già un atto rivoluzionario.
E sì, si chiama consapevolezza.
Perché diciamocelo: non si può guidare davvero gli altri se prima non si è consapevoli di come si guida se stessi.

Essere consapevoli significa fermarsi un attimo e chiedersi:

Come sto?

Perché sto reagendo così?

Che impatto ha il mio comportamento sugli altri?

Non è introspezione fine a sé stessa. È la base invisibile di ogni buona leadership.
Un leader consapevole sa quando è centrato e quando è fuori fase. Sa cosa lo motiva, cosa lo fa perdere la bussola, e cosa lo riporta al timone. E solo da lì, può davvero mettersi al servizio del team.
Abbiamo parlato di ascolto, fiducia, confronto autentico.
Ma oggi facciamo un salto in avanti: cosa succede quando questa collaborazione funziona davvero?
Succede che si crea spazio. Spazio per dire cose nuove, per provare strade non battute, per giocare con le idee.
In una parola: creatività.

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QUANDO LA CONSAPEVOLEZZA INCONTRA IL FLOW

Ci sono leader che sanno tutto: strategie, numeri, strumenti. Ma quando si tratta di guidare le persone, spesso inciampano su qualcosa di molto più semplice — e molto più profondo: la consapevolezza di sé.

Perché diciamocelo: non si può guidare davvero gli altri se prima non si è consapevoli di come si guida se stessi.

Essere consapevoli significa fermarsi un attimo e chiedersi:

Come sto?

Perché sto reagendo così?

Che impatto ha il mio comportamento sugli altri?

Non è introspezione fine a sé stessa. È la base invisibile di ogni buona leadership.
Un leader consapevole sa quando è centrato e quando è fuori fase. Sa cosa lo motiva, cosa lo fa perdere la bussola, e cosa lo riporta al timone. E solo da lì, può davvero mettersi al servizio del team.
Abbiamo parlato di ascolto, fiducia, confronto autentico.
Ma oggi facciamo un salto in avanti: cosa succede quando questa collaborazione funziona davvero?
Succede che si crea spazio. Spazio per dire cose nuove, per provare strade non battute, per giocare con le idee.
In una parola: creatività.

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ESSERE CREATIVI CON IL FLOW

Negli scorsi articoli ci siamo immersi nel mondo della collaborazione: abbiamo visto com’è fatta, cosa la nutre, come si distingue da quella versione “tutti amici in pausa caffè” che spesso viene confusa con il vero lavoro di squadra.

Abbiamo parlato di ascolto, fiducia, confronto autentico.
Ma oggi facciamo un salto in avanti: cosa succede quando questa collaborazione funziona davvero?
Succede che si crea spazio. Spazio per dire cose nuove, per provare strade non battute, per giocare con le idee.
In una parola: creatività.

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I 5 NEMICI INVISIBILI DELLA COLLABORAZIONE

Tutti parlano di collaborazione. È sulla bocca dei manager, sulle pareti degli open space, nei valori aziendali e perfino nei badge dei convegni: “teamwork”, “co-creazione”, “insieme si va più lontano”.

Poi entri davvero in azienda, e spesso scopri che si lavora affiancati, ma non insieme. Che la comunicazione è un ping pong di mail in copia conoscenza. Che si fa prima a farsi le cose da soli che coinvolgere altri. E che le “riunioni collaborative” assomigliano a un monologo sotto anestesia.

La verità è che la collaborazione – quella vera – è fragile.
E ci sono nemici invisibili che, giorno dopo giorno, la logorano. Non si presentano alla porta, ma agiscono in silenzio, in profondità.
Ecco i cinque più pericolosi.

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