Pubblicati da Sara Cascio

TRATTATO SEMISERIO SULLA CONSAPEVOLEZZA

ARTICOLO DEL BLOG:

TRATTATO SEMISERIO
SULLA CONSAPEVOLEZZA

Per chi ogni tanto si chiede “ma cosa sto facendo davvero?” tra una call e un caffè

La consapevolezza è una di quelle parole che fanno un figurone nei workshop, su LinkedIn e nelle frasi motivazionali con tramonti di sfondo.
Poi però ti ritrovi a rispondere “tutto bene!” mentre nella tua testa si scatena l’apocalisse, e ti rendi conto che forse… non sei proprio così consapevole.

Nel lavoro, succede spesso: vai in automatico, macini attività, partecipi a riunioni, dici “sì certo, ci penso io” anche quando vorresti solo scappare in Alaska a fare il pastore di renne. Eppure non ti fermi.
Perché “c’è da fare”.
Perché “è così che si lavora”.
Perché “ormai ci siamo dentro”.

Ma fermarsi (anche solo un minuto) per capire dove sei, come stai, e cosa stai facendo davvero… è già un atto rivoluzionario.
E sì, si chiama consapevolezza.

Ti interessa questo argomento?

Mettiamo subito in chiaro una cosa: essere consapevoli non significa diventare guru zen che lavorano in lotus position davanti al PC, sorseggiando tisane all’anice.
Consapevolezza, nel concreto, è accorgerti che:

  • -stai dicendo “sì” a tutto solo per non deludere nessuno;

  • -ti innervosisci sempre con quella collega, e forse c’è qualcosa sotto;

  • -ti stai spegnendo piano piano, ma sorridi lo stesso in videochiamata.

È accorgerti mentre succede, non dopo. È fare spazio tra il “mi viene da reagire così” e il “aspetta, ma perché?”.
È diventare un po’ più registi, e un po’ meno attori nel copione scritto da altri.

QUANDO IL PILOTA AUTOMATICO GUIDA LA TUA CARRIERA

Facci caso: quante cose fai senza pensarci?
Mail scritte in modalità zombie, frasi come “nessun problema!” dette con le mascelle serrate, progetti accettati senza entusiasmo ma con un bel “wow, che bella sfida!”.
Il pilota automatico è comodo. Ti fa andare avanti. Ma ti fa anche allontanare da te.

La consapevolezza è quella vocina (gentile, eh) che ogni tanto ti sussurra:

“Ma questa cosa… ti rappresenta? O la fai perché ormai è un’abitudine?”

È fastidiosa, lo so. Ma necessaria. Perché ci salva da carriere costruite a caso, da team che non funzionano, da quella strana sensazione del “sto facendo tanto… ma non mi sento soddisfatto”.

CONSAPEVOLEZZA È ANCHE OSSERVARE GLI ALTRI (E NON SOLO TE STESSO)

Non si tratta solo di guardarsi dentro come se fossimo in un reality introspettivo.
Consapevolezza è anche accorgersi che:

  • -il tuo team è spento da settimane, ma nessuno lo dice;

  • -stai monopolizzando la riunione senza volerlo;

  • -il nuovo collega è in difficoltà, ma sta sorridendo troppo.

È leggere l’aria, ascoltare tra le righe, notare i silenzi.
E scegliere di fare qualcosa.

Essere consapevoli non è facile. Ti costringe a guardare cose che preferiresti ignorare.
Magari ti rendi conto che quel lavoro non ti appassiona più.
Che stai facendo il ruolo del “bravo soldato” ma dentro vorresti dire la tua.
Che sei sempre gentile… ma mai autentico.

Non è piacevole. Ma è lì che si apre lo spazio per cambiare.
Non cambiare tutto, eh. Ma almeno qualcosa. Qualcosa che sia più tuo.

METTITI ALL’OPERA

Per allenare la consapevolezza serve pratica. Quindi ecco un esercizio semplice, veloce, ma super potente.
Puoi farlo da solo, in team, all’inizio della giornata o prima di una riunione importante.

✨ CHECK-IN CONSAPEVOLE

  1. Come sto adesso, davvero?
    (Stanco, motivato, ansioso, scocciato, carico… scegli una parola vera)

  2. Da 1 a 10, quanta energia ho?
    (E se è bassa: cosa potrei fare per alzarla un po’? Anche solo alzarmi 2 minuti?)

  3. Cosa porto oggi, in questo incontro o attività?
    (Una tensione? Un’intenzione? Un’idea? Un bisogno?)

  4. Quale parte di me voglio attivare oggi?
    (Quella centrata? Quella coraggiosa? Quella ironica?)

  5. Cosa potrei osservare meglio oggi?
    (Il mio tono? Le reazioni del team? I miei automatismi?)

Se lo fai ogni giorno per una settimana, inizierai a notare cose. Piccole cose. Ma che fanno una grande differenza.

E ora?

Ora che hai letto fino a qui, probabilmente dentro di te c’è già una piccola vocina che si è risvegliata.
Magari ti sta dicendo:

“Caspita, questa cosa mi riguarda.”
O magari:
“In effetti, dovrei fermarmi un attimo e ascoltarmi.”

Bene. Non serve altro, per iniziare.
Solo questo: accorgerti.
Il resto verrà.
Magari con un cracker alla mano e una buona domanda da farti.

Essere consapevoli non vuol dire diventare saggi come un monaco tibetano o sentire ogni respiro con la grazia di un maestro zen.
Vuol dire, molto più semplicemente, riaccendersi un attimo.

Accorgersi di come stai mentre lo stai facendo.
Notare dove sei davvero mentre dici “tutto bene”.
Riconoscere che il pilota automatico serve, ma ogni tanto va disattivato.
E che dietro a ogni “sono solo stanco” c’è spesso una voce che chiede attenzione.

La consapevolezza non è una meta.
È un’abitudine gentile, che inizia con una domanda e continua con un po’ di onestà.
Quella che ci fa dire:

“Aspetta un attimo. Io, adesso, cosa sto davvero vivendo?”

Se lo facciamo anche solo una volta al giorno, abbiamo già cominciato.
Il resto – sì, anche la serenità – arriva col tempo. E col coraggio di non correre sempre.

Se questo articolo ti ha fatto riflettere su quanto sia fondamentale la consapevolezza per guidare davvero gli altri, non perdere il prossimo appuntamento con le Pillole di Flow: il 21 luglio dalle 18 alle 19 su Zoom

Un’ora per approfondire insieme come allenare la consapevolezza, competenza chiave nella leadership, partendo proprio da te.

Se vuoi capire come allenare concretamente il cambiamento attraverso esperienze immersive non perderti il prossimo appuntamento con le pillole di gamification, mercoledì  17 settembre dalle 12.30 alle 13.15.
Ti racconteremo come funziona un percorso collettivo di Change Management attraverso la realtà virtuale.

Vuoi avere più informazioni? Chatta con Mr. Fligby il nostro Assistente Virtuale

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IL FLOW PER LA FELICITA' E IL SUCCESSO

LA LEADERSHIP NELLA VITA E NEL LAVORO.


IL LIBRO DI STEFANO SELVINI

“Si legge in un soffio: è un romanzo, ma è anche una guida assistita al lavoro per arrivare a padroneggiarlo.”

“Questo romanzo unisce la teoria alla pratica, invitandoci a rispondere a una questione di fondo: quando il lavoro vale la pena di essere vissuto?”

“Pagina dopo pagina familiarizzerete – passo al voi, avendole già lette in anteprima – con Marco Riva, il protagonista, rispecchiandovi nella sua costante ricerca di felicità. Perché tutti, nessuno escluso, cerchiamo la piena realizzazione.”

FILIPPO POLETTITop Voice Linkedin e influencer del benessere al lavoro

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GUIDA- Progettare la Formazione Manageriale che Fa la Differenza

La consapevolezza è una di quelle parole che fanno un figurone nei workshop, su LinkedIn e nelle frasi motivazionali con tramonti di sfondo.
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Nel lavoro, succede spesso: vai in automatico, macini attività, partecipi a riunioni, dici “sì certo, ci penso io” anche quando vorresti solo scappare in Alaska a fare il pastore di renne. Eppure non ti fermi.
Perché “c’è da fare”.
Perché “è così che si lavora”.
Perché “ormai ci siamo dentro”.

Ma fermarsi (anche solo un minuto) per capire dove sei, come stai, e cosa stai facendo davvero… è già un atto rivoluzionario.
E sì, si chiama consapevolezza.
Perché diciamocelo: non si può guidare davvero gli altri se prima non si è consapevoli di come si guida se stessi.

Essere consapevoli significa fermarsi un attimo e chiedersi:

Come sto?

Perché sto reagendo così?

Che impatto ha il mio comportamento sugli altri?

Non è introspezione fine a sé stessa. È la base invisibile di ogni buona leadership.
Un leader consapevole sa quando è centrato e quando è fuori fase. Sa cosa lo motiva, cosa lo fa perdere la bussola, e cosa lo riporta al timone. E solo da lì, può davvero mettersi al servizio del team.
Abbiamo parlato di ascolto, fiducia, confronto autentico.
Ma oggi facciamo un salto in avanti: cosa succede quando questa collaborazione funziona davvero?
Succede che si crea spazio. Spazio per dire cose nuove, per provare strade non battute, per giocare con le idee.
In una parola: creatività.


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Nel lavoro, succede spesso: vai in automatico, macini attività, partecipi a riunioni, dici “sì certo, ci penso io” anche quando vorresti solo scappare in Alaska a fare il pastore di renne. Eppure non ti fermi.
Perché “c’è da fare”.
Perché “è così che si lavora”.
Perché “ormai ci siamo dentro”.

Ma fermarsi (anche solo un minuto) per capire dove sei, come stai, e cosa stai facendo davvero… è già un atto rivoluzionario.
E sì, si chiama consapevolezza.
Perché diciamocelo: non si può guidare davvero gli altri se prima non si è consapevoli di come si guida se stessi.

Essere consapevoli significa fermarsi un attimo e chiedersi:

Come sto?

Perché sto reagendo così?

Che impatto ha il mio comportamento sugli altri?

Non è introspezione fine a sé stessa. È la base invisibile di ogni buona leadership.
Un leader consapevole sa quando è centrato e quando è fuori fase. Sa cosa lo motiva, cosa lo fa perdere la bussola, e cosa lo riporta al timone. E solo da lì, può davvero mettersi al servizio del team.
Abbiamo parlato di ascolto, fiducia, confronto autentico.
Ma oggi facciamo un salto in avanti: cosa succede quando questa collaborazione funziona davvero?
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QUANDO LA CONSAPEVOLEZZA INCONTRA IL FLOW

Ci sono leader che sanno tutto: strategie, numeri, strumenti. Ma quando si tratta di guidare le persone, spesso inciampano su qualcosa di molto più semplice — e molto più profondo: la consapevolezza di sé.

Perché diciamocelo: non si può guidare davvero gli altri se prima non si è consapevoli di come si guida se stessi.

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Abbiamo parlato di ascolto, fiducia, confronto autentico.
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Succede che si crea spazio. Spazio per dire cose nuove, per provare strade non battute, per giocare con le idee.
In una parola: creatività.


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ESSERE CREATIVI CON IL FLOW

Negli scorsi articoli ci siamo immersi nel mondo della collaborazione: abbiamo visto com’è fatta, cosa la nutre, come si distingue da quella versione “tutti amici in pausa caffè” che spesso viene confusa con il vero lavoro di squadra.

Abbiamo parlato di ascolto, fiducia, confronto autentico.
Ma oggi facciamo un salto in avanti: cosa succede quando questa collaborazione funziona davvero?
Succede che si crea spazio. Spazio per dire cose nuove, per provare strade non battute, per giocare con le idee.
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I 5 NEMICI INVISIBILI DELLA COLLABORAZIONE

Tutti parlano di collaborazione. È sulla bocca dei manager, sulle pareti degli open space, nei valori aziendali e perfino nei badge dei convegni: “teamwork”, “co-creazione”, “insieme si va più lontano”.

Poi entri davvero in azienda, e spesso scopri che si lavora affiancati, ma non insieme. Che la comunicazione è un ping pong di mail in copia conoscenza. Che si fa prima a farsi le cose da soli che coinvolgere altri. E che le “riunioni collaborative” assomigliano a un monologo sotto anestesia.

La verità è che la collaborazione – quella vera – è fragile.
E ci sono nemici invisibili che, giorno dopo giorno, la logorano. Non si presentano alla porta, ma agiscono in silenzio, in profondità.
Ecco i cinque più pericolosi.


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COLLABORAZIONE ASSENTE? ECCO IL SUO COSTO

Parlare di collaborazione può sembrare una questione “soft”. Una di quelle cose belle da avere, ma non proprio vitali, come la ciliegina sulla torta.
Eppure… quando manca, non è solo la ciliegina a saltare, ma tutta la torta rischia di sbriciolarsi.

Perché quando un team non collabora, l’azienda comincia a perdere. Soldi veri.
E la cosa peggiore è che non si vede subito. Non c’è una fattura con scritto:

“Mese di maggio: -3.000€ per conflitti e silenzi in riunione”
ma il costo c’è. Eccome se c’è.

Vediamo i principali danni che si innescano quando la collaborazione va in crisi, con qualche dato preso da ricerche e fonti autorevoli.


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QUANDO LA CONSAPEVOLEZZA INCONTRA IL FLOW

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QUANDO LA CONSAPEVOLEZZA
INCONTRA IL FLOW

La chiave per una leadership autentica che ispira e trasforma

Ci sono leader che sanno tutto: strategie, numeri, strumenti. Ma quando si tratta di guidare le persone, spesso inciampano su qualcosa di molto più semplice — e molto più profondo: la consapevolezza di sé.

Perché diciamocelo: non si può guidare davvero gli altri se prima non si è consapevoli di come si guida se stessi.

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  • Come sto?

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Non è introspezione fine a sé stessa. È la base invisibile di ogni buona leadership.
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IL FLOW COME SPECCHIO

E uno dei modi più naturali per diventare più consapevoli… è osservare quando entriamo in flow.

Il flow non è solo una parola da psicologi. È qualcosa che tutti abbiamo vissuto, anche senza chiamarlo così:
quando siamo immersi in un’attività che ci piace, quando perdiamo la cognizione del tempo leggendo, cucinando, andando in bici.
In quei momenti non siamo distratti, non stiamo recitando, siamo presenti. Siamo noi, al meglio.

E se imparassimo a portare quella qualità di presenza anche al lavoro?

Un leader consapevole sa riconoscere cosa lo fa entrare in flow, e prova a ricreare quelle condizioni anche nella quotidianità lavorativa.
Ma fa anche di più: aiuta le persone del proprio team a fare lo stesso.
Perché guidare non significa solo “portare avanti le attività”, ma creare le condizioni perché le persone diano il meglio.

LA CONSAPEVOLEZZA SI PUO’ ALLENARE: FLIGBY

“Ok, ma allora… come faccio a diventare più consapevole?
Ci si può allenare?”


Sì. Ma non basta pensarci su a fine giornata o leggere un paio di articoli.
Serve un’esperienza che ti metta davvero alla prova: che renda visibili le tue scelte, il tuo stile di leadership, l’impatto che hai sugli altri.
E come si fa, concretamente?
Con un simulatore di leadership come Fligby, che ti permette di osservarti in azione e sviluppare una consapevolezza solida e applicabile.
Perché essere leader non significa solo sapere cosa fare, ma anche come lo si sta facendo.

 Serve un’esperienza che ti metta di fronte a te stesso, con uno specchio chiaro e senza giudizio.

Ed è proprio questo che fa Fligby.

In Fligby interpreti il general manager di un’azienda vinicola. Prendi decisioni, ascolti il team, gestisci situazioni reali.
Ma la vera forza del gioco è che ti mostra, passo dopo passo, come stai guidando: cosa funziona nel tuo stile, dove perdi lucidità, quali leve motivazionali sai usare… e quali tendi a ignorare.

È come giocare davanti a uno specchio. Solo che al posto del riflesso, vedi chi sei davvero come leader.

Vuoi capire meglio in che modo possa aiutarti a diventare un leader più consapevole e preparato? Guarda la recensione di Massimo Negro, in cui racconta la sua esperienza con Fligby.

Nelle prossime pillole di gamification, martedì 8 luglio dalle 12.30 alle 13.15, entreremo nel vivo di Fligby.
Ti racconteremo come funziona un percorso individuale basato su questo strumento: un’esperienza immersiva, personalizzata, in cui la consapevolezza prende forma in modo concreto, attraverso il gioco.

Se vuoi capire meglio chi sei come leader, quali sono le tue leve e come attivare quelle degli altri… iscriviti subito al webinar gratuito!

 

Se questo articolo ti ha fatto riflettere su quanto sia fondamentale la consapevolezza per guidare davvero gli altri, non perdere il prossimo appuntamento con le Pillole di Flow: il 21 luglio dalle 18 alle 19 su Zoom

Un’ora per approfondire insieme come allenare la consapevolezza, competenza chiave nella leadership, partendo proprio da te.

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LA LEADERSHIP NELLA VITA E NEL LAVORO.


IL LIBRO DI STEFANO SELVINI

“Si legge in un soffio: è un romanzo, ma è anche una guida assistita al lavoro per arrivare a padroneggiarlo.”

“Questo romanzo unisce la teoria alla pratica, invitandoci a rispondere a una questione di fondo: quando il lavoro vale la pena di essere vissuto?”

“Pagina dopo pagina familiarizzerete – passo al voi, avendole già lette in anteprima – con Marco Riva, il protagonista, rispecchiandovi nella sua costante ricerca di felicità. Perché tutti, nessuno escluso, cerchiamo la piena realizzazione.”

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GUIDA- Progettare la Formazione Manageriale che Fa la Differenza

La consapevolezza è una di quelle parole che fanno un figurone nei workshop, su LinkedIn e nelle frasi motivazionali con tramonti di sfondo.
Poi però ti ritrovi a rispondere “tutto bene!” mentre nella tua testa si scatena l’apocalisse, e ti rendi conto che forse… non sei proprio così consapevole.

Nel lavoro, succede spesso: vai in automatico, macini attività, partecipi a riunioni, dici “sì certo, ci penso io” anche quando vorresti solo scappare in Alaska a fare il pastore di renne. Eppure non ti fermi.
Perché “c’è da fare”.
Perché “è così che si lavora”.
Perché “ormai ci siamo dentro”.

Ma fermarsi (anche solo un minuto) per capire dove sei, come stai, e cosa stai facendo davvero… è già un atto rivoluzionario.
E sì, si chiama consapevolezza.
Perché diciamocelo: non si può guidare davvero gli altri se prima non si è consapevoli di come si guida se stessi.

Essere consapevoli significa fermarsi un attimo e chiedersi:

Come sto?

Perché sto reagendo così?

Che impatto ha il mio comportamento sugli altri?

Non è introspezione fine a sé stessa. È la base invisibile di ogni buona leadership.
Un leader consapevole sa quando è centrato e quando è fuori fase. Sa cosa lo motiva, cosa lo fa perdere la bussola, e cosa lo riporta al timone. E solo da lì, può davvero mettersi al servizio del team.
Abbiamo parlato di ascolto, fiducia, confronto autentico.
Ma oggi facciamo un salto in avanti: cosa succede quando questa collaborazione funziona davvero?
Succede che si crea spazio. Spazio per dire cose nuove, per provare strade non battute, per giocare con le idee.
In una parola: creatività.


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TRATTATO SEMISERIO SULLA CONSAPEVOLEZZA

La consapevolezza è una di quelle parole che fanno un figurone nei workshop, su LinkedIn e nelle frasi motivazionali con tramonti di sfondo.
Poi però ti ritrovi a rispondere “tutto bene!” mentre nella tua testa si scatena l’apocalisse, e ti rendi conto che forse… non sei proprio così consapevole.

Nel lavoro, succede spesso: vai in automatico, macini attività, partecipi a riunioni, dici “sì certo, ci penso io” anche quando vorresti solo scappare in Alaska a fare il pastore di renne. Eppure non ti fermi.
Perché “c’è da fare”.
Perché “è così che si lavora”.
Perché “ormai ci siamo dentro”.

Ma fermarsi (anche solo un minuto) per capire dove sei, come stai, e cosa stai facendo davvero… è già un atto rivoluzionario.
E sì, si chiama consapevolezza.
Perché diciamocelo: non si può guidare davvero gli altri se prima non si è consapevoli di come si guida se stessi.

Essere consapevoli significa fermarsi un attimo e chiedersi:

Come sto?

Perché sto reagendo così?

Che impatto ha il mio comportamento sugli altri?

Non è introspezione fine a sé stessa. È la base invisibile di ogni buona leadership.
Un leader consapevole sa quando è centrato e quando è fuori fase. Sa cosa lo motiva, cosa lo fa perdere la bussola, e cosa lo riporta al timone. E solo da lì, può davvero mettersi al servizio del team.
Abbiamo parlato di ascolto, fiducia, confronto autentico.
Ma oggi facciamo un salto in avanti: cosa succede quando questa collaborazione funziona davvero?
Succede che si crea spazio. Spazio per dire cose nuove, per provare strade non battute, per giocare con le idee.
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Ci sono leader che sanno tutto: strategie, numeri, strumenti. Ma quando si tratta di guidare le persone, spesso inciampano su qualcosa di molto più semplice — e molto più profondo: la consapevolezza di sé.

Perché diciamocelo: non si può guidare davvero gli altri se prima non si è consapevoli di come si guida se stessi.

Essere consapevoli significa fermarsi un attimo e chiedersi:

Come sto?

Perché sto reagendo così?

Che impatto ha il mio comportamento sugli altri?

Non è introspezione fine a sé stessa. È la base invisibile di ogni buona leadership.
Un leader consapevole sa quando è centrato e quando è fuori fase. Sa cosa lo motiva, cosa lo fa perdere la bussola, e cosa lo riporta al timone. E solo da lì, può davvero mettersi al servizio del team.
Abbiamo parlato di ascolto, fiducia, confronto autentico.
Ma oggi facciamo un salto in avanti: cosa succede quando questa collaborazione funziona davvero?
Succede che si crea spazio. Spazio per dire cose nuove, per provare strade non battute, per giocare con le idee.
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ESSERE CREATIVI CON IL FLOW

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Abbiamo parlato di ascolto, fiducia, confronto autentico.
Ma oggi facciamo un salto in avanti: cosa succede quando questa collaborazione funziona davvero?
Succede che si crea spazio. Spazio per dire cose nuove, per provare strade non battute, per giocare con le idee.
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I 5 NEMICI INVISIBILI DELLA COLLABORAZIONE

Tutti parlano di collaborazione. È sulla bocca dei manager, sulle pareti degli open space, nei valori aziendali e perfino nei badge dei convegni: “teamwork”, “co-creazione”, “insieme si va più lontano”.

Poi entri davvero in azienda, e spesso scopri che si lavora affiancati, ma non insieme. Che la comunicazione è un ping pong di mail in copia conoscenza. Che si fa prima a farsi le cose da soli che coinvolgere altri. E che le “riunioni collaborative” assomigliano a un monologo sotto anestesia.

La verità è che la collaborazione – quella vera – è fragile.
E ci sono nemici invisibili che, giorno dopo giorno, la logorano. Non si presentano alla porta, ma agiscono in silenzio, in profondità.
Ecco i cinque più pericolosi.


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Parlare di collaborazione può sembrare una questione “soft”. Una di quelle cose belle da avere, ma non proprio vitali, come la ciliegina sulla torta.
Eppure… quando manca, non è solo la ciliegina a saltare, ma tutta la torta rischia di sbriciolarsi.

Perché quando un team non collabora, l’azienda comincia a perdere. Soldi veri.
E la cosa peggiore è che non si vede subito. Non c’è una fattura con scritto:

“Mese di maggio: -3.000€ per conflitti e silenzi in riunione”
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ESSERE CREATIVI CON IL FLOW

ARTICOLO DEL BLOG:

ESSERE CREATIVI
CON IL FLOW

Quando la collaborazione vera crea spazio per idee innovative e concrete

Negli scorsi articoli ci siamo immersi nel mondo della collaborazione: abbiamo visto com’è fatta, cosa la nutre, come si distingue da quella versione “tutti amici in pausa caffè” che spesso viene confusa con il vero lavoro di squadra.

Abbiamo parlato di ascolto, fiducia, confronto autentico.
Ma oggi facciamo un salto in avanti: cosa succede quando questa collaborazione funziona davvero?


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In una parola: creatività.

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LA CREATIVITÀ NON È UN MOMENTO DI GENIO SOLITARIO

Dimentichiamoci la scena dell’inventore che urla “Eureka!” da solo nella vasca da bagno. La creatività, nel mondo reale (e soprattutto in quello del lavoro), non è un colpo di fortuna isolato, ma il risultato di un ecosistema che la rende possibile.

E quest’ecosistema è fatto di tre elementi fondamentali:

🔹 Una cultura che incoraggia
Ogni contesto ha i suoi simboli, valori e messaggi impliciti. Se l’ambiente dice, anche senza parole: “qui puoi osare, qui l’errore è parte del gioco”, le persone iniziano a portare contributi veri, non solo cose “già approvate”.
Una cultura che valorizza la curiosità, l’originalità e la sperimentazione è come un fertilizzante naturale per le idee.

🔹 Una persona che rompe il ritmo
Che sia un’idea, un’intuizione o una provocazione, serve qualcuno che metta sul tavolo qualcosa di nuovo. Qualcuno che dica: “Lo so che facciamo così da anni, ma se provassimo quest’altra via?”.
La persona creativa è quella che si prende il rischio di stonare per trovare una nuova melodia.

🔹 Una comunità che riconosce il valore
La creatività senza riconoscimento resta nel cassetto. Ecco perché servono persone competenti (gli “esperti” del dominio) che siano pronte a dire: “Ehi, questa cosa qui ha senso. Proviamola.”
È così che un’idea diventa innovazione, non solo fantasia.

FLOW: IL TERRENO IDEALE PER IDEE BRILLANTI

Oltre all’ambiente giusto, la creatività ha bisogno di due alleati fondamentali: tempo e attenzione.

Viviamo in un’epoca in cui l’idea di “avere tempo per pensare” è diventata quasi un lusso. Ma per creare davvero, non bastano dieci minuti rubati tra due riunioni.
Serve tempo di qualità.
E soprattutto, serve focus: quell’attenzione profonda e non frammentata che oggi viene regolarmente presa in ostaggio da email, notifiche e chat urgenti.

Ed è qui che entra in scena il famoso Flow: quello stato in cui siamo completamente immersi in un’attività, con il giusto livello di sfida, pienamente concentrati, e con una strana sensazione di “spinta naturale”.
Nel Flow, la mente smette di correre in tutte le direzioni e si focalizza. Il tempo sembra dilatarsi, la produttività aumenta e – magia delle magie – la creatività si accende.

Per attivare il Flow servono contesti che lo permettano: poche interruzioni, obiettivi chiari, libertà di esplorare, e collaborazione autentica. In pratica, non solo serve il tempo per pensare, ma anche lo spazio mentale per farlo bene.

LA CREATIVITÀ È COME UN’ORCHIDEA

Immagina la creatività come un’orchidea tropicale.
Non puoi trattarla come una piantina da balcone qualsiasi. Non basta annaffiarla una volta ogni tanto e sperare che sbocci. Ha bisogno di luce giusta, umidità controllata, niente sbalzi di temperatura e un po’ di sana dedizione.

Allo stesso modo, le idee nuove hanno bisogno di tempo, attenzione, ascolto e validazione. E tutto questo arriva quando la collaborazione funziona per davvero.

Quindi, se vuoi che nel tuo team sboccino idee brillanti, non partire dai post-it colorati o dalle sessioni di brainstorming forzate.
Parti da lì: dalla qualità delle relazioni, dalla cultura che le sostiene, e dalla libertà di pensare senza dover chiedere scusa.

METTITI ALL’OPERA

La creatività non è sempre inventare da zero. A volte è guardare con occhi nuovi qualcosa che già conosci.

Come funziona:

  1. Scegli una cosa che fai spesso.
    Può essere una riunione, scrivere un’email, fare una presentazione, prendere appunti, risolvere un problema…

  2. Individua una “regola implicita”.
    Cosa fai sempre nello stesso modo, quasi senza pensarci? Ad esempio: “le slide devono avere titoli seri” o “i meeting iniziano sempre con l’ordine del giorno”.

  3. Rompi quella regola.
    Prova a fare la stessa cosa… ma al contrario, con un twist, in modo assurdo o solo diverso dal solito.
    Esempi:

    • Inizia la riunione con una domanda bizzarra.

    • Scrivi un’email come se fosse un post su Instagram.

    • Prendi appunti disegnando.

  4. Osserva cosa succede.
    Come cambia la tua energia? E la reazione degli altri? Hai notato qualcosa di nuovo?


🧠 Perché funziona:
Quando cambiamo le abitudini mentali, il cervello attiva circuiti alternativi. E lì, spesso, troviamo soluzioni nuove. O almeno… qualche buona idea fuori dagli schemi.

✨ Provalo oggi stesso. Bastano 5 minuti per innescare qualcosa di diverso.

 

La creatività non si può ordinare come un caffè al bar. Non arriva su richiesta, non si accende con un pulsante, e non risponde a “entro venerdì alle 17”.
Le idee – quelle buone, quelle che cambiano le cose – non si impongono, si coltivano.

Servono relazioni autentiche, un contesto che ascolta davvero, una cultura che non punisce il pensiero divergente ma lo applaude.
Serve spazio mentale, tempo di qualità e un pizzico di fiducia nel fatto che, se crei le condizioni giuste, prima o poi qualcosa di bello fiorisce.

Collaborare per creare non è questione di fortuna.
È una scelta intenzionale, quotidiana, che parte dal modo in cui ci parliamo, ci ascoltiamo e ci diamo il permesso di provare.

E quando questa scelta diventa abitudine, l’innovazione non è più un obiettivo da raggiungere… ma una conseguenza naturale.

E se vuoi continuare a coltivare il terreno giusto per far fiorire le tue idee…
📅 Segna in agenda: il 26 giugno alle 18 ti aspettiamo con una nuova puntata di Pillole di Flow, dove parleremo proprio di Flow e Creatività.
Un’occasione per approfondire, confrontarsi e – perché no – uscire dagli schemi insieme.

🌱 Perché le idee migliori non arrivano da sole. Si fanno invitare.
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IL FLOW PER LA FELICITA' E IL SUCCESSO

LA LEADERSHIP NELLA VITA E NEL LAVORO.


IL LIBRO DI STEFANO SELVINI

“Si legge in un soffio: è un romanzo, ma è anche una guida assistita al lavoro per arrivare a padroneggiarlo.”

“Questo romanzo unisce la teoria alla pratica, invitandoci a rispondere a una questione di fondo: quando il lavoro vale la pena di essere vissuto?”

“Pagina dopo pagina familiarizzerete – passo al voi, avendole già lette in anteprima – con Marco Riva, il protagonista, rispecchiandovi nella sua costante ricerca di felicità. Perché tutti, nessuno escluso, cerchiamo la piena realizzazione.”

FILIPPO POLETTITop Voice Linkedin e influencer del benessere al lavoro

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ARTICOLI DEL BLOG


GUIDA- Progettare la Formazione Manageriale che Fa la Differenza

La consapevolezza è una di quelle parole che fanno un figurone nei workshop, su LinkedIn e nelle frasi motivazionali con tramonti di sfondo.
Poi però ti ritrovi a rispondere “tutto bene!” mentre nella tua testa si scatena l’apocalisse, e ti rendi conto che forse… non sei proprio così consapevole.

Nel lavoro, succede spesso: vai in automatico, macini attività, partecipi a riunioni, dici “sì certo, ci penso io” anche quando vorresti solo scappare in Alaska a fare il pastore di renne. Eppure non ti fermi.
Perché “c’è da fare”.
Perché “è così che si lavora”.
Perché “ormai ci siamo dentro”.

Ma fermarsi (anche solo un minuto) per capire dove sei, come stai, e cosa stai facendo davvero… è già un atto rivoluzionario.
E sì, si chiama consapevolezza.
Perché diciamocelo: non si può guidare davvero gli altri se prima non si è consapevoli di come si guida se stessi.

Essere consapevoli significa fermarsi un attimo e chiedersi:

Come sto?

Perché sto reagendo così?

Che impatto ha il mio comportamento sugli altri?

Non è introspezione fine a sé stessa. È la base invisibile di ogni buona leadership.
Un leader consapevole sa quando è centrato e quando è fuori fase. Sa cosa lo motiva, cosa lo fa perdere la bussola, e cosa lo riporta al timone. E solo da lì, può davvero mettersi al servizio del team.
Abbiamo parlato di ascolto, fiducia, confronto autentico.
Ma oggi facciamo un salto in avanti: cosa succede quando questa collaborazione funziona davvero?
Succede che si crea spazio. Spazio per dire cose nuove, per provare strade non battute, per giocare con le idee.
In una parola: creatività.


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TRATTATO SEMISERIO SULLA CONSAPEVOLEZZA

La consapevolezza è una di quelle parole che fanno un figurone nei workshop, su LinkedIn e nelle frasi motivazionali con tramonti di sfondo.
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Nel lavoro, succede spesso: vai in automatico, macini attività, partecipi a riunioni, dici “sì certo, ci penso io” anche quando vorresti solo scappare in Alaska a fare il pastore di renne. Eppure non ti fermi.
Perché “c’è da fare”.
Perché “è così che si lavora”.
Perché “ormai ci siamo dentro”.

Ma fermarsi (anche solo un minuto) per capire dove sei, come stai, e cosa stai facendo davvero… è già un atto rivoluzionario.
E sì, si chiama consapevolezza.
Perché diciamocelo: non si può guidare davvero gli altri se prima non si è consapevoli di come si guida se stessi.

Essere consapevoli significa fermarsi un attimo e chiedersi:

Come sto?

Perché sto reagendo così?

Che impatto ha il mio comportamento sugli altri?

Non è introspezione fine a sé stessa. È la base invisibile di ogni buona leadership.
Un leader consapevole sa quando è centrato e quando è fuori fase. Sa cosa lo motiva, cosa lo fa perdere la bussola, e cosa lo riporta al timone. E solo da lì, può davvero mettersi al servizio del team.
Abbiamo parlato di ascolto, fiducia, confronto autentico.
Ma oggi facciamo un salto in avanti: cosa succede quando questa collaborazione funziona davvero?
Succede che si crea spazio. Spazio per dire cose nuove, per provare strade non battute, per giocare con le idee.
In una parola: creatività.


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QUANDO LA CONSAPEVOLEZZA INCONTRA IL FLOW

Ci sono leader che sanno tutto: strategie, numeri, strumenti. Ma quando si tratta di guidare le persone, spesso inciampano su qualcosa di molto più semplice — e molto più profondo: la consapevolezza di sé.

Perché diciamocelo: non si può guidare davvero gli altri se prima non si è consapevoli di come si guida se stessi.

Essere consapevoli significa fermarsi un attimo e chiedersi:

Come sto?

Perché sto reagendo così?

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Non è introspezione fine a sé stessa. È la base invisibile di ogni buona leadership.
Un leader consapevole sa quando è centrato e quando è fuori fase. Sa cosa lo motiva, cosa lo fa perdere la bussola, e cosa lo riporta al timone. E solo da lì, può davvero mettersi al servizio del team.
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Ma oggi facciamo un salto in avanti: cosa succede quando questa collaborazione funziona davvero?
Succede che si crea spazio. Spazio per dire cose nuove, per provare strade non battute, per giocare con le idee.
In una parola: creatività.


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ESSERE CREATIVI CON IL FLOW

Negli scorsi articoli ci siamo immersi nel mondo della collaborazione: abbiamo visto com’è fatta, cosa la nutre, come si distingue da quella versione “tutti amici in pausa caffè” che spesso viene confusa con il vero lavoro di squadra.

Abbiamo parlato di ascolto, fiducia, confronto autentico.
Ma oggi facciamo un salto in avanti: cosa succede quando questa collaborazione funziona davvero?
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In una parola: creatività.


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I 5 NEMICI INVISIBILI DELLA COLLABORAZIONE

Tutti parlano di collaborazione. È sulla bocca dei manager, sulle pareti degli open space, nei valori aziendali e perfino nei badge dei convegni: “teamwork”, “co-creazione”, “insieme si va più lontano”.

Poi entri davvero in azienda, e spesso scopri che si lavora affiancati, ma non insieme. Che la comunicazione è un ping pong di mail in copia conoscenza. Che si fa prima a farsi le cose da soli che coinvolgere altri. E che le “riunioni collaborative” assomigliano a un monologo sotto anestesia.

La verità è che la collaborazione – quella vera – è fragile.
E ci sono nemici invisibili che, giorno dopo giorno, la logorano. Non si presentano alla porta, ma agiscono in silenzio, in profondità.
Ecco i cinque più pericolosi.


Leggi l'articolo »


COLLABORAZIONE ASSENTE? ECCO IL SUO COSTO

Parlare di collaborazione può sembrare una questione “soft”. Una di quelle cose belle da avere, ma non proprio vitali, come la ciliegina sulla torta.
Eppure… quando manca, non è solo la ciliegina a saltare, ma tutta la torta rischia di sbriciolarsi.

Perché quando un team non collabora, l’azienda comincia a perdere. Soldi veri.
E la cosa peggiore è che non si vede subito. Non c’è una fattura con scritto:

“Mese di maggio: -3.000€ per conflitti e silenzi in riunione”
ma il costo c’è. Eccome se c’è.

Vediamo i principali danni che si innescano quando la collaborazione va in crisi, con qualche dato preso da ricerche e fonti autorevoli.


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I 5 NEMICI INVISIBILI DELLA COLLABORAZIONE

ARTICOLO DEL BLOG:

I 5 NEMICI INVISIBILI
DELLA COLLABORAZIONE

Come riconoscere (e non sottovalutare) gli ostacoli nascosti che sabotano il lavoro di squadra

Tutti parlano di collaborazione. È sulla bocca dei manager, sulle pareti degli open space, nei valori aziendali e perfino nei badge dei convegni: “teamwork”, “co-creazione”, “insieme si va più lontano”.

Poi entri davvero in azienda, e spesso scopri che si lavora affiancati, ma non insieme. Che la comunicazione è un ping pong di mail in copia conoscenza. Che si fa prima a farsi le cose da soli che coinvolgere altri. E che le “riunioni collaborative” assomigliano a un monologo sotto anestesia.

La verità è che la collaborazione – quella vera – è fragile.
E ci sono nemici invisibili che, giorno dopo giorno, la logorano. Non si presentano alla porta, ma agiscono in silenzio, in profondità.
Ecco i cinque più pericolosi.

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1. L’EGO INDIVIDUALE

È lui il primo, silenzioso nemico della collaborazione: l’ego.
Non serve essere egocentrici dichiarati per sabotare il lavoro di squadra. Basta anche solo voler avere l’ultima parola. O credere di sapere sempre cosa è meglio per tutti.
L’ego si insinua in modo subdolo: con un commento passivo-aggressivo, con una mail in cui ci si prende il merito del lavoro condiviso, con la tendenza a “correggere” sempre gli altri anche quando non serve.

🎯 Esempio:
Durante una riunione di team, Giulia presenta una proposta su cui ha lavorato con Marco per due settimane. Marco ascolta in silenzio. Poi prende la parola e dice: “In effetti, quando ci ho pensato, ho trovato questa soluzione…”, e snocciola esattamente le idee condivise da Giulia, ma riscritte come se fossero sue.
Nessuno lo ferma. Giulia abbozza un sorriso tirato, annuisce.
Da quel giorno, smette di proporre. Non per dispetto. Ma perché capisce che nel “gioco” interno, chi collabora perde visibilità, mentre chi primeggia viene premiato.

Il danno? Non è solo personale. È sistemico.
L’ego non spezza solo una relazione, ma rallenta la fiducia. E senza fiducia, la collaborazione si riduce a una parola da slide.

2. I SILOS ORGANIZZATIVI

Sembrano un problema architettonico, invece sono una questione culturale.
I silos sono quei muri invisibili che separano reparti e persone, anche quando sono seduti a dieci metri l’uno dall’altro.
Ognuno parla la propria lingua, usa i propri strumenti, si fida solo dei “suoi”. Il resto? Rumore di fondo.

🎯 Esempio:
Un’azienda lancia una campagna pubblicitaria importante. Il marketing la pubblica ovunque: social, spot, sito.
Peccato che il team customer care scopra tutto leggendo… LinkedIn.
Nel giro di due giorni arrivano richieste a raffica da clienti incuriositi. Gli operatori, ignari, rispondono con un onesto “non ne sappiamo nulla”.


L’effetto? Un boomerang di figuracce, escalation interne e il classico “ci sarà stato un problema di comunicazione”.
Ma la verità è che non si è parlato. E nei silos, il silenzio è sempre costoso.

3. LA LEADERSHIP DEBOLE

Quando chi guida non guida, il gruppo si disorienta. Non ci sono direzioni chiare, i conflitti vengono evitati, le responsabilità si disperdono.
Sembra democrazia, ma è confusione.

🎯 Esempio:
In un team cross-funzionale, il referente progetto dice: “Sentitevi liberi di organizzarvi come meglio credete, io ci sono se serve.”
Apparentemente un atto di fiducia. Nei fatti, un’assenza.
Dopo due settimane, i task sono raddoppiati, i file si accavallano, le riunioni si moltiplicano. Ognuno ha capito una cosa diversa. E quando le scadenze saltano, iniziano i mormorii: “Io pensavo che toccasse a te…”.
Il progetto si trascina. Il clima si irrigidisce. E nessuno si prende la responsabilità di dire che manca una guida.

4. LA PAURA DEL GIUDIZIO

Collaborare significa esporsi. Mettere sul tavolo un’idea, fare una domanda, dire “non ho capito”.
Ma in molte aziende si respira una sottile ansia da prestazione. Dove ogni frase deve essere perfetta, ogni proposta già validata, ogni dubbio… meglio non dirlo.

🎯 Esempio:
Laura ha un’idea interessante per snellire un processo. Ma teme che i colleghi la considerino “ingenua”. Non la propone. Due mesi dopo, un consulente esterno propone esattamente la stessa cosa. E viene applaudito.

5. LA MANCANZA DI UN OBIETTIVO CONDIVISO

Sembra banale, ma è devastante: se non sappiamo dove stiamo andando, ognuno prende una strada diversa. Anche i team più brillanti si perdono… se manca una mappa.

🎯 Esempio:
Durante un kickoff di progetto, il coordinatore dice con entusiasmo: “Quest’anno dobbiamo innovare!”.
Silenzio in sala. Tutti annuiscono.
Ma “innovare” significa tutto e niente.
Il team tecnico pensa a introdurre un nuovo software. Il marketing si lancia in una campagna audace con meme e GIF animate. Il commerciale inizia a proporre ai clienti pacchetti personalizzati.
Tre mesi dopo, arriva il momento del check-point.
Il CEO guarda i risultati e dice: “Ma questa non è innovazione! Io intendevo rinnovare il nostro modello di business, non fare grafiche simpatiche!”
E lì cala il gelo.
Perché sì, tutti stavano lavorando con impegno. Ma su obiettivi diversi.
Manca un “perché” comune. E senza quello, non c’è collaborazione che tenga. Solo confusione ben organizzata.

METTITI ALL’OPERA

Il Radar della collaborazione

Ora è il tuo turno.

 Valuta su una scala da 1 a 5 quanto ciascun “nemico” è presente nella tua organizzazione:

  • Istinto di autoconservazione

  • Silos organizzativi

  • Leadership debole

  • Paura del giudizio

  • Obiettivi disallineati

📊 Confronta il tuo radar con quello di altri colleghi.
Ci sono percezioni diverse? Dove siete più fragili?

🤝 Scegli uno o due nemici e, insieme, pensate a 3 azioni concrete per iniziare a disinnescarli.

✍️ Fissa un impegno personale – anche piccolo – che puoi mettere in pratica già da domani per creare un terreno più collaborativo.

Perché la collaborazione non si dichiara. Si costruisce. E a volte, serve solo un primo passo onesto per cambiare il gioco.

Collaborare significa mettersi in gioco, fidarsi, trovare un ritmo comune, anche quando la pressione sale e le opinioni divergono.

Eppure, troppo spesso ci muoviamo con il freno a mano tirato, rallentati da piccoli sabotatori quotidiani: l’ego che s’impunta, i silos che isolano, la leadership che non guida, la paura che zittisce, gli obiettivi che nessuno ha davvero chiarito.

La buona notizia?
Possiamo allenare la collaborazione. Ma non con un’altra teoria o l’ennesima slide. Serve esperienza, serve azione, serve un contesto che faccia emergere il meglio (e il peggio) delle dinamiche di gruppo.

Ecco perchè non puoi perderti il nostro evento Pillole di Gamification.

📅 Mercoledì 18 giugno, dalle 12:30 alle 13:15 ti presentiamo Friday Night at the ER, un serious game che simula decisioni in tempo reale, pressioni impreviste e… il vero volto della collaborazione.

Se vuoi scoprire un modo nuovo e potente per lavorare meglio insieme, ti aspettiamo.
Spoiler: potresti divertirti, ma anche sorprenderti.

Ci sarai? 😉

Vuoi approfondire il tema della creatività e come potenziarla attraverso il Flow? Iscriviti per partecipare alle Pillole di Flow giovedì 26 giugno ore 18-19.

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LA LEADERSHIP NELLA VITA E NEL LAVORO.


IL LIBRO DI STEFANO SELVINI

“Si legge in un soffio: è un romanzo, ma è anche una guida assistita al lavoro per arrivare a padroneggiarlo.”

“Questo romanzo unisce la teoria alla pratica, invitandoci a rispondere a una questione di fondo: quando il lavoro vale la pena di essere vissuto?”

“Pagina dopo pagina familiarizzerete – passo al voi, avendole già lette in anteprima – con Marco Riva, il protagonista, rispecchiandovi nella sua costante ricerca di felicità. Perché tutti, nessuno escluso, cerchiamo la piena realizzazione.”

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GUIDA- Progettare la Formazione Manageriale che Fa la Differenza

La consapevolezza è una di quelle parole che fanno un figurone nei workshop, su LinkedIn e nelle frasi motivazionali con tramonti di sfondo.
Poi però ti ritrovi a rispondere “tutto bene!” mentre nella tua testa si scatena l’apocalisse, e ti rendi conto che forse… non sei proprio così consapevole.

Nel lavoro, succede spesso: vai in automatico, macini attività, partecipi a riunioni, dici “sì certo, ci penso io” anche quando vorresti solo scappare in Alaska a fare il pastore di renne. Eppure non ti fermi.
Perché “c’è da fare”.
Perché “è così che si lavora”.
Perché “ormai ci siamo dentro”.

Ma fermarsi (anche solo un minuto) per capire dove sei, come stai, e cosa stai facendo davvero… è già un atto rivoluzionario.
E sì, si chiama consapevolezza.
Perché diciamocelo: non si può guidare davvero gli altri se prima non si è consapevoli di come si guida se stessi.

Essere consapevoli significa fermarsi un attimo e chiedersi:

Come sto?

Perché sto reagendo così?

Che impatto ha il mio comportamento sugli altri?

Non è introspezione fine a sé stessa. È la base invisibile di ogni buona leadership.
Un leader consapevole sa quando è centrato e quando è fuori fase. Sa cosa lo motiva, cosa lo fa perdere la bussola, e cosa lo riporta al timone. E solo da lì, può davvero mettersi al servizio del team.
Abbiamo parlato di ascolto, fiducia, confronto autentico.
Ma oggi facciamo un salto in avanti: cosa succede quando questa collaborazione funziona davvero?
Succede che si crea spazio. Spazio per dire cose nuove, per provare strade non battute, per giocare con le idee.
In una parola: creatività.


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La consapevolezza è una di quelle parole che fanno un figurone nei workshop, su LinkedIn e nelle frasi motivazionali con tramonti di sfondo.
Poi però ti ritrovi a rispondere “tutto bene!” mentre nella tua testa si scatena l’apocalisse, e ti rendi conto che forse… non sei proprio così consapevole.

Nel lavoro, succede spesso: vai in automatico, macini attività, partecipi a riunioni, dici “sì certo, ci penso io” anche quando vorresti solo scappare in Alaska a fare il pastore di renne. Eppure non ti fermi.
Perché “c’è da fare”.
Perché “è così che si lavora”.
Perché “ormai ci siamo dentro”.

Ma fermarsi (anche solo un minuto) per capire dove sei, come stai, e cosa stai facendo davvero… è già un atto rivoluzionario.
E sì, si chiama consapevolezza.
Perché diciamocelo: non si può guidare davvero gli altri se prima non si è consapevoli di come si guida se stessi.

Essere consapevoli significa fermarsi un attimo e chiedersi:

Come sto?

Perché sto reagendo così?

Che impatto ha il mio comportamento sugli altri?

Non è introspezione fine a sé stessa. È la base invisibile di ogni buona leadership.
Un leader consapevole sa quando è centrato e quando è fuori fase. Sa cosa lo motiva, cosa lo fa perdere la bussola, e cosa lo riporta al timone. E solo da lì, può davvero mettersi al servizio del team.
Abbiamo parlato di ascolto, fiducia, confronto autentico.
Ma oggi facciamo un salto in avanti: cosa succede quando questa collaborazione funziona davvero?
Succede che si crea spazio. Spazio per dire cose nuove, per provare strade non battute, per giocare con le idee.
In una parola: creatività.


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QUANDO LA CONSAPEVOLEZZA INCONTRA IL FLOW

Ci sono leader che sanno tutto: strategie, numeri, strumenti. Ma quando si tratta di guidare le persone, spesso inciampano su qualcosa di molto più semplice — e molto più profondo: la consapevolezza di sé.

Perché diciamocelo: non si può guidare davvero gli altri se prima non si è consapevoli di come si guida se stessi.

Essere consapevoli significa fermarsi un attimo e chiedersi:

Come sto?

Perché sto reagendo così?

Che impatto ha il mio comportamento sugli altri?

Non è introspezione fine a sé stessa. È la base invisibile di ogni buona leadership.
Un leader consapevole sa quando è centrato e quando è fuori fase. Sa cosa lo motiva, cosa lo fa perdere la bussola, e cosa lo riporta al timone. E solo da lì, può davvero mettersi al servizio del team.
Abbiamo parlato di ascolto, fiducia, confronto autentico.
Ma oggi facciamo un salto in avanti: cosa succede quando questa collaborazione funziona davvero?
Succede che si crea spazio. Spazio per dire cose nuove, per provare strade non battute, per giocare con le idee.
In una parola: creatività.


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ESSERE CREATIVI CON IL FLOW

Negli scorsi articoli ci siamo immersi nel mondo della collaborazione: abbiamo visto com’è fatta, cosa la nutre, come si distingue da quella versione “tutti amici in pausa caffè” che spesso viene confusa con il vero lavoro di squadra.

Abbiamo parlato di ascolto, fiducia, confronto autentico.
Ma oggi facciamo un salto in avanti: cosa succede quando questa collaborazione funziona davvero?
Succede che si crea spazio. Spazio per dire cose nuove, per provare strade non battute, per giocare con le idee.
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I 5 NEMICI INVISIBILI DELLA COLLABORAZIONE

Tutti parlano di collaborazione. È sulla bocca dei manager, sulle pareti degli open space, nei valori aziendali e perfino nei badge dei convegni: “teamwork”, “co-creazione”, “insieme si va più lontano”.

Poi entri davvero in azienda, e spesso scopri che si lavora affiancati, ma non insieme. Che la comunicazione è un ping pong di mail in copia conoscenza. Che si fa prima a farsi le cose da soli che coinvolgere altri. E che le “riunioni collaborative” assomigliano a un monologo sotto anestesia.

La verità è che la collaborazione – quella vera – è fragile.
E ci sono nemici invisibili che, giorno dopo giorno, la logorano. Non si presentano alla porta, ma agiscono in silenzio, in profondità.
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Parlare di collaborazione può sembrare una questione “soft”. Una di quelle cose belle da avere, ma non proprio vitali, come la ciliegina sulla torta.
Eppure… quando manca, non è solo la ciliegina a saltare, ma tutta la torta rischia di sbriciolarsi.

Perché quando un team non collabora, l’azienda comincia a perdere. Soldi veri.
E la cosa peggiore è che non si vede subito. Non c’è una fattura con scritto:

“Mese di maggio: -3.000€ per conflitti e silenzi in riunione”
ma il costo c’è. Eccome se c’è.

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COLLABORAZIONE ASSENTE? ECCO IL SUO COSTO

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COLLABORAZIONE ASSENTE?
ECCO IL SUO COSTO

I costi nascosti della mancata collaborazione: perché investire nella squadra conviene più di quanto pensi.

Parlare di collaborazione può sembrare una questione “soft”. Una di quelle cose belle da avere, ma non proprio vitali, come la ciliegina sulla torta.
Eppure… quando manca, non è solo la ciliegina a saltare, ma tutta la torta rischia di sbriciolarsi.

Perché quando un team non collabora, l’azienda comincia a perdere. Soldi veri.
E la cosa peggiore è che non si vede subito. Non c’è una fattura con scritto:

“Mese di maggio: -3.000€ per conflitti e silenzi in riunione”
ma il costo c’è. Eccome se c’è.

Vediamo i principali danni che si innescano quando la collaborazione va in crisi, con qualche dato preso da ricerche e fonti autorevoli.

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🔻 Perdita di produttività

Se non ci si parla, non ci si capisce. E se non ci si capisce, si fanno errori, si lavora due volte, ci si rallenta.
Studi indicano che i dipendenti non coinvolti sono fino al 18% meno produttivi rispetto a chi lavora in un clima positivo e collaborativo.

📉 Aumento dell’assenteismo

In un ambiente stressante, le persone si stancano prima. Si ammalano più spesso. Alcuni studi riportano un aumento fino al 69% delle assenze tra i dipendenti non coinvolti .

🚪 Turnover elevato

Le persone non lasciano solo l’azienda. A volte lasciano i colleghi, il clima, l’aria pesante.
Quando se ne va una persona valida, la sostituzione può arrivare a costare dai 9.000 ai 18.000 euro.

⏱ Tempo sprecato in conflitti

I manager, invece di guidare, spesso passano le giornate a “fare da cuscinetto” tra colleghi che non si sopportano o che non si parlano.
Secondo una ricerca della PMI, si arriva anche a 6 ore a settimana spese solo per gestire conflitti.

💔 Danno reputazionale

Un ambiente tossico si sente. E fa danni anche fuori. I clienti lo percepiscono. I candidati lo fiutano. E spesso… scappano.
Risultato? Talenti difficili da attrarre, clienti che cambiano fornitore, progetti rallentati.

Quindi, quanto costa non collaborare?

Torniamo coi piedi per terra.

Immagina un team classico, come tanti:
– 8 impiegati amministrativi o tecnici
– 1 quadro che li coordina

Totale? Circa 400.000 euro l’anno, tra stipendi, contributi, benefit, strumenti di lavoro.

Secondo le stime più prudenti, un team che non collabora può far perdere all’azienda fino al 20% di questo valore in costi indiretti.
Quindi:
circa 80.000 euro buttati via ogni anno, senza che nessuno li metta mai a budget.

Ottantamila euro che se ne vanno in lentezza, malintesi, burnout, assenze e persone valide che se ne vanno.
E parliamo di una stima prudente. Senza considerare i clienti persi, i ritardi di progetto, la reputazione che si sgretola.

🧠 Il paradosso: spendere poco per risparmiare molto

Adesso pensa a questo scenario: investire in un percorso formativo che insegni al team a collaborare meglio, a comunicare senza conflitti, a gestire insieme le difficoltà. Un percorso che può costare, per esempio, 8.000 euro all’anno.

Otto mila. Non ottanta mila.

Con meno del 10% di quello che già stai perdendo, potresti risolvere una parte importante del problema.

Ti sembra ancora un lusso? Forse è il miglior investimento che potresti fare.

Perché la collaborazione non è una moda.
È la base di tutto: di produttività, benessere, fidelizzazione, reputazione.

Senza collaborazione, perdiamo tutti: l’azienda, il team, i clienti.
Con la collaborazione, invece, apriamo la porta a nuove opportunità, a un ambiente di lavoro più sereno e a risultati concreti.

Pensare insieme, lavorare meglio: il valore della collaborazione

Il nostro lavoro è proprio questo: sviluppare percorsi che aiutano le persone a superare il pensiero a silos, a lavorare sulle connessioni tra i diversi ruoli e a potenziare il system thinking — quella capacità fondamentale di vedere l’insieme, comprendere le relazioni e far funzionare meglio tutto il sistema.

Se vuoi approfondire, ti invitiamo a partecipare gratuitamente a Pillole di Gamification, mercoledì 18 giugno, dalle 12:30 alle 13:15.
Parleremo proprio di questo percorso, attraverso Friday Night at the ER, un gioco serio che fa riflettere e mette alla prova la collaborazione all’interno del team.

Non perdere questa opportunità per trasformare la collaborazione da un costo nascosto a un vero vantaggio competitivo.

Cosa aspetti? Prenota ora il tuo posto.

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“Si legge in un soffio: è un romanzo, ma è anche una guida assistita al lavoro per arrivare a padroneggiarlo.”

“Questo romanzo unisce la teoria alla pratica, invitandoci a rispondere a una questione di fondo: quando il lavoro vale la pena di essere vissuto?”

“Pagina dopo pagina familiarizzerete – passo al voi, avendole già lette in anteprima – con Marco Riva, il protagonista, rispecchiandovi nella sua costante ricerca di felicità. Perché tutti, nessuno escluso, cerchiamo la piena realizzazione.”

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La consapevolezza è una di quelle parole che fanno un figurone nei workshop, su LinkedIn e nelle frasi motivazionali con tramonti di sfondo.
Poi però ti ritrovi a rispondere “tutto bene!” mentre nella tua testa si scatena l’apocalisse, e ti rendi conto che forse… non sei proprio così consapevole.

Nel lavoro, succede spesso: vai in automatico, macini attività, partecipi a riunioni, dici “sì certo, ci penso io” anche quando vorresti solo scappare in Alaska a fare il pastore di renne. Eppure non ti fermi.
Perché “c’è da fare”.
Perché “è così che si lavora”.
Perché “ormai ci siamo dentro”.

Ma fermarsi (anche solo un minuto) per capire dove sei, come stai, e cosa stai facendo davvero… è già un atto rivoluzionario.
E sì, si chiama consapevolezza.
Perché diciamocelo: non si può guidare davvero gli altri se prima non si è consapevoli di come si guida se stessi.

Essere consapevoli significa fermarsi un attimo e chiedersi:

Come sto?

Perché sto reagendo così?

Che impatto ha il mio comportamento sugli altri?

Non è introspezione fine a sé stessa. È la base invisibile di ogni buona leadership.
Un leader consapevole sa quando è centrato e quando è fuori fase. Sa cosa lo motiva, cosa lo fa perdere la bussola, e cosa lo riporta al timone. E solo da lì, può davvero mettersi al servizio del team.
Abbiamo parlato di ascolto, fiducia, confronto autentico.
Ma oggi facciamo un salto in avanti: cosa succede quando questa collaborazione funziona davvero?
Succede che si crea spazio. Spazio per dire cose nuove, per provare strade non battute, per giocare con le idee.
In una parola: creatività.


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TRATTATO SEMISERIO SULLA CONSAPEVOLEZZA

La consapevolezza è una di quelle parole che fanno un figurone nei workshop, su LinkedIn e nelle frasi motivazionali con tramonti di sfondo.
Poi però ti ritrovi a rispondere “tutto bene!” mentre nella tua testa si scatena l’apocalisse, e ti rendi conto che forse… non sei proprio così consapevole.

Nel lavoro, succede spesso: vai in automatico, macini attività, partecipi a riunioni, dici “sì certo, ci penso io” anche quando vorresti solo scappare in Alaska a fare il pastore di renne. Eppure non ti fermi.
Perché “c’è da fare”.
Perché “è così che si lavora”.
Perché “ormai ci siamo dentro”.

Ma fermarsi (anche solo un minuto) per capire dove sei, come stai, e cosa stai facendo davvero… è già un atto rivoluzionario.
E sì, si chiama consapevolezza.
Perché diciamocelo: non si può guidare davvero gli altri se prima non si è consapevoli di come si guida se stessi.

Essere consapevoli significa fermarsi un attimo e chiedersi:

Come sto?

Perché sto reagendo così?

Che impatto ha il mio comportamento sugli altri?

Non è introspezione fine a sé stessa. È la base invisibile di ogni buona leadership.
Un leader consapevole sa quando è centrato e quando è fuori fase. Sa cosa lo motiva, cosa lo fa perdere la bussola, e cosa lo riporta al timone. E solo da lì, può davvero mettersi al servizio del team.
Abbiamo parlato di ascolto, fiducia, confronto autentico.
Ma oggi facciamo un salto in avanti: cosa succede quando questa collaborazione funziona davvero?
Succede che si crea spazio. Spazio per dire cose nuove, per provare strade non battute, per giocare con le idee.
In una parola: creatività.


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QUANDO LA CONSAPEVOLEZZA INCONTRA IL FLOW

Ci sono leader che sanno tutto: strategie, numeri, strumenti. Ma quando si tratta di guidare le persone, spesso inciampano su qualcosa di molto più semplice — e molto più profondo: la consapevolezza di sé.

Perché diciamocelo: non si può guidare davvero gli altri se prima non si è consapevoli di come si guida se stessi.

Essere consapevoli significa fermarsi un attimo e chiedersi:

Come sto?

Perché sto reagendo così?

Che impatto ha il mio comportamento sugli altri?

Non è introspezione fine a sé stessa. È la base invisibile di ogni buona leadership.
Un leader consapevole sa quando è centrato e quando è fuori fase. Sa cosa lo motiva, cosa lo fa perdere la bussola, e cosa lo riporta al timone. E solo da lì, può davvero mettersi al servizio del team.
Abbiamo parlato di ascolto, fiducia, confronto autentico.
Ma oggi facciamo un salto in avanti: cosa succede quando questa collaborazione funziona davvero?
Succede che si crea spazio. Spazio per dire cose nuove, per provare strade non battute, per giocare con le idee.
In una parola: creatività.


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ESSERE CREATIVI CON IL FLOW

Negli scorsi articoli ci siamo immersi nel mondo della collaborazione: abbiamo visto com’è fatta, cosa la nutre, come si distingue da quella versione “tutti amici in pausa caffè” che spesso viene confusa con il vero lavoro di squadra.

Abbiamo parlato di ascolto, fiducia, confronto autentico.
Ma oggi facciamo un salto in avanti: cosa succede quando questa collaborazione funziona davvero?
Succede che si crea spazio. Spazio per dire cose nuove, per provare strade non battute, per giocare con le idee.
In una parola: creatività.


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I 5 NEMICI INVISIBILI DELLA COLLABORAZIONE

Tutti parlano di collaborazione. È sulla bocca dei manager, sulle pareti degli open space, nei valori aziendali e perfino nei badge dei convegni: “teamwork”, “co-creazione”, “insieme si va più lontano”.

Poi entri davvero in azienda, e spesso scopri che si lavora affiancati, ma non insieme. Che la comunicazione è un ping pong di mail in copia conoscenza. Che si fa prima a farsi le cose da soli che coinvolgere altri. E che le “riunioni collaborative” assomigliano a un monologo sotto anestesia.

La verità è che la collaborazione – quella vera – è fragile.
E ci sono nemici invisibili che, giorno dopo giorno, la logorano. Non si presentano alla porta, ma agiscono in silenzio, in profondità.
Ecco i cinque più pericolosi.


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COLLABORAZIONE ASSENTE? ECCO IL SUO COSTO

Parlare di collaborazione può sembrare una questione “soft”. Una di quelle cose belle da avere, ma non proprio vitali, come la ciliegina sulla torta.
Eppure… quando manca, non è solo la ciliegina a saltare, ma tutta la torta rischia di sbriciolarsi.

Perché quando un team non collabora, l’azienda comincia a perdere. Soldi veri.
E la cosa peggiore è che non si vede subito. Non c’è una fattura con scritto:

“Mese di maggio: -3.000€ per conflitti e silenzi in riunione”
ma il costo c’è. Eccome se c’è.

Vediamo i principali danni che si innescano quando la collaborazione va in crisi, con qualche dato preso da ricerche e fonti autorevoli.


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