ARTICOLO DEL BLOG:

LA CONSAPEVOLEZZA NON RISOLVE TUTTO,
MA QUASI

Non cambia il mondo, ma evita che tu lo mandi a quel paese ogni lunedì

Hai presente quei momenti in cui ti sembra di sbattere sempre contro lo stesso muro?

Cambiano i contesti, cambiano le persone, ma certi problemi tornano puntuali come le pubblicità su YouTube.

👉 Sei sempre di corsa e finisci stremato.
👉 Provi a comunicare bene, ma ti capiscono peggio del correttore automatico.
👉 Cerchi di restare zen, ma ti parte l’embolo con la facilità di una notifica WhatsApp.

Quando succede, spesso scatta la missione: “devo trovare una soluzione”.
Spoiler: a volte non ti serve una soluzione, ma una lente di ingrandimento.
E quella lente si chiama consapevolezza.

Ti interessa questo argomento?

COSA SI INTENDE PER “CONSAPEVOLEZZA”?

È tipo Google Maps, ma per la tua testa (e il tuo fegato).
È la capacità di notare cosa ti succede, mentre ti succede.
Non il giorno dopo, quando ormai ti sei pentito, ma lì, sul momento.

È accorgerti che:

  • -stai trattenendo il respiro mentre leggi quella mail passivo-aggressiva,

  • -stai stringendo la mascella come se stessi aprendo un barattolo di sugo,

  • -stai per rispondere male solo perché quella frase ti ha toccato un nervo scoperto.

Essere consapevoli non vuol dire essere perfetti, ma semplicemente rendersi conto.
E già questo… fa miracoli.

ECCO DUE CASI DA MANUALE 

1. QUANDO LO STRESS TI PORTA A SPASSO COME UN GOLDEN RETRIEVER ARRABBIATO

Il problema: sei sempre indaffarato, sempre in modalità “urgenza”.
Hai l’agenda che sembra un Tetris, il caffè che ti scorre nelle vene, e la sensazione costante di essere in ritardo per qualcosa che non ricordi.

Senza consapevolezza: lo stress prende il volante e ti guida lui.
Tu re-agisci, risolvi, spingi, corri, sbuffi… e la sera ti chiedi perché ti senti come se ti avessero passato con lo schiacciasassi.

Con consapevolezza: ti accorgi quando parte l’onda.
Tipo: ricevi un messaggio con scritto “Hai un minuto?” e parte subito l’allarme interno.
Fiato corto, stomaco in tensione, pensieri in stile “oddio cosa ho sbagliato?”.

La svolta? Notare che sta succedendo. Non devi risolvere subito. Basta accorgertene.

Cosa puoi fare nel concreto?

  • -Tre respiri prima di rispondere (no, non quelli a metà mentre sbuffi).

  • -Un check veloce: “Dove lo sento questo stress? Petto? Pancia? Dietro la nuca come sempre?”

  • -Un pensiero utile: “Ok, è solo attivazione. Respiro e poi decido.”

La consapevolezza non spegne lo stress, ma ti permette di non farti tirare dentro come un calzino in lavatrice.

2. IL CONFLITTO RIPETUTO (CHE POTEVI ANCHE RISPARMIARTI)

Il problema: ci sono discussioni che si ripetono come un disco rotto.
Stesse dinamiche, stessi toni, stessi finali. Roba che ormai potresti scrivere il copione in anticipo.

Senza consapevolezza: reagisci. Ti scatta l’orgoglio, la difesa, il fastidio.
Poi magari ti penti. O peggio, fai finta di niente ma dentro cova il rancorino passivo.

Con consapevolezza: ti fermi e ti chiedi:

  • “Perché questa cosa mi manda in tilt?”

  • “Quale nervo ha toccato?”

  • “Cosa avevo bisogno che l’altro non ha visto?”

  • Dietro ogni scatto c’è un bisogno. Tipo: rispetto, ascolto, autonomia, considerazione.

Ma se non lo noti, finisce che litighi per la forma… e non risolvi la sostanza.

Esempio reale:
Un collega ti interrompe in riunione (di nuovo).
Senti montare il fastidio e stai già immaginando la vendetta verbale.
Con un pizzico di consapevolezza ti fermi: “Ok, mi sento ignorato. Io ho bisogno di essere ascoltato, non di vincere una gara a chi parla sopra.”
E magari dici: “Aspetta, fammi finire il pensiero. Mi aiuta a sentirmi considerato.”
Boom. Cambi energia, e forse anche la relazione.

Strumenti pratici?

  • Dopo ogni conflitto, fai un replay. Tipo VAR emozionale: cosa ho provato? perché? cosa c’era sotto?

  • Se noti che certe cose ti infastidiscono SEMPRE… magari non è solo colpa degli altri.

  • Allenati a chiederti: “Cosa sto cercando davvero in questo momento?”

METTITI ALL’OPERA: ALLENARE LA CONSAPEVOLEZZA (NO, NON SERVE ANDARE IN UN MONASTERO)

Allenare la consapevolezza non richiede incensi, mantra tibetani né abbandonare tutto per coltivare riso in Indonesia.
Non ti serve una vita nuova, ti basta guardare meglio quella che hai.

Sì, anche mentre sei in fila alla posta o chiudi l’ennesima call su Teams.
Perché la consapevolezza non è una pratica da “momenti speciali”: è una palestra quotidiana, fatta di piccole cose che puoi fare ovunque (tranne forse mentre litighi per l’aria condizionata in ufficio… lì serve un miracolo).

Ecco qualche esercizio “a misura di essere umano impegnato”:

1. Il micro-check del mattino

Appena ti svegli, prima di lanciarti sulle notifiche, prova a chiederti:
“Che aria tira oggi dentro di me?”
Un minuto, occhi ancora mezzi chiusi, ma cervello acceso.
Che emozione c’è? Stanchezza? Ansia? Curiosità? Pizza avanzata?
Allenarsi a dare un nome a come stai, ogni giorno, ti aiuta a non essere travolto da come ti sentirai dopo.

2. Il semaforo della reattività

Immagina di avere un semaforo interno:

  • 🟥 Rosso: quando senti che stai per reagire male.

  • 🟡 Giallo: quando senti che qualcosa ti tocca.

  • 🟩 Verde: quando sei lucido e centrato.

Allenati a notare i segnali gialli, prima di esplodere al rosso.
Più ti eserciti a dire “aspetta un attimo”, più diventi bravo a scegliere invece che scattare.

3. Il respiro salva-viaggi mentali

Hai presente quando stai facendo qualcosa e ti ritrovi a pensare a tutt’altro?
Tipo stai scrivendo una mail e all’improvviso sei mentalmente in ferie, ma in ritardo per il check-in?

Fermati. Fai tre respiri profondi, contando fino a 4 mentre inspiri, e fino a 6 mentre espiri.
Semplice, ma potentissimo.
Il respiro è tipo il Wi-Fi del corpo: ti riconnette subito al presente (quando funziona, ovviamente).

La consapevolezza non ti trasforma in un monaco zen.
Ma ti evita un sacco di errori, risposte di pancia, pentimenti da messaggi inviati troppo in fretta.

È il superpotere tranquillo.
La pausa prima di parlare.
Il respiro prima del click.
La possibilità di scegliere chi vuoi essere anche nei momenti storti.

E, tra noi, è pure più economica dello psicodramma settimanale.

Se questo articolo ti ha fatto riflettere su quanto sia fondamentale la consapevolezza per guidare davvero gli altri, non perdere il prossimo appuntamento con le Pillole di Flow: il 21 luglio dalle 18 alle 19 su Zoom

Un’ora per approfondire insieme come allenare la consapevolezza, competenza chiave nella leadership, partendo proprio da te.

Se vuoi capire come allenare concretamente il cambiamento attraverso esperienze immersive non perderti il prossimo appuntamento con le pillole di gamification, mercoledì  17 settembre dalle 12.30 alle 13.15.
Ti racconteremo come funziona un percorso collettivo di Change Management attraverso la realtà virtuale.

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“Si legge in un soffio: è un romanzo, ma è anche una guida assistita al lavoro per arrivare a padroneggiarlo.”

“Questo romanzo unisce la teoria alla pratica, invitandoci a rispondere a una questione di fondo: quando il lavoro vale la pena di essere vissuto?”

“Pagina dopo pagina familiarizzerete – passo al voi, avendole già lette in anteprima – con Marco Riva, il protagonista, rispecchiandovi nella sua costante ricerca di felicità. Perché tutti, nessuno escluso, cerchiamo la piena realizzazione.”

FILIPPO POLETTITop Voice Linkedin e influencer del benessere al lavoro

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LA CONSAPEVOLEZZA NON RISOLVE TUTTO, MA QUASI

Hai presente quei momenti in cui ti sembra di sbattere sempre contro lo stesso muro?

Cambiano i contesti, cambiano le persone, ma certi problemi tornano puntuali come le pubblicità su YouTube.

👉 Sei sempre di corsa e finisci stremato.
👉 Provi a comunicare bene, ma ti capiscono peggio del correttore automatico.
👉 Cerchi di restare zen, ma ti parte l’embolo con la facilità di una notifica WhatsApp.

Quando succede, spesso scatta la missione: “devo trovare una soluzione”.
Spoiler: a volte non ti serve una soluzione, ma una lente di ingrandimento.
E quella lente si chiama consapevolezza.

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GUIDA- Progettare la Formazione Manageriale che Fa la Differenza

La consapevolezza è una di quelle parole che fanno un figurone nei workshop, su LinkedIn e nelle frasi motivazionali con tramonti di sfondo.
Poi però ti ritrovi a rispondere “tutto bene!” mentre nella tua testa si scatena l’apocalisse, e ti rendi conto che forse… non sei proprio così consapevole.

Nel lavoro, succede spesso: vai in automatico, macini attività, partecipi a riunioni, dici “sì certo, ci penso io” anche quando vorresti solo scappare in Alaska a fare il pastore di renne. Eppure non ti fermi.
Perché “c’è da fare”.
Perché “è così che si lavora”.
Perché “ormai ci siamo dentro”.

Ma fermarsi (anche solo un minuto) per capire dove sei, come stai, e cosa stai facendo davvero… è già un atto rivoluzionario.
E sì, si chiama consapevolezza.
Perché diciamocelo: non si può guidare davvero gli altri se prima non si è consapevoli di come si guida se stessi.

Essere consapevoli significa fermarsi un attimo e chiedersi:

Come sto?

Perché sto reagendo così?

Che impatto ha il mio comportamento sugli altri?

Non è introspezione fine a sé stessa. È la base invisibile di ogni buona leadership.
Un leader consapevole sa quando è centrato e quando è fuori fase. Sa cosa lo motiva, cosa lo fa perdere la bussola, e cosa lo riporta al timone. E solo da lì, può davvero mettersi al servizio del team.
Abbiamo parlato di ascolto, fiducia, confronto autentico.
Ma oggi facciamo un salto in avanti: cosa succede quando questa collaborazione funziona davvero?
Succede che si crea spazio. Spazio per dire cose nuove, per provare strade non battute, per giocare con le idee.
In una parola: creatività.

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TRATTATO SEMISERIO SULLA CONSAPEVOLEZZA

La consapevolezza è una di quelle parole che fanno un figurone nei workshop, su LinkedIn e nelle frasi motivazionali con tramonti di sfondo.
Poi però ti ritrovi a rispondere “tutto bene!” mentre nella tua testa si scatena l’apocalisse, e ti rendi conto che forse… non sei proprio così consapevole.

Nel lavoro, succede spesso: vai in automatico, macini attività, partecipi a riunioni, dici “sì certo, ci penso io” anche quando vorresti solo scappare in Alaska a fare il pastore di renne. Eppure non ti fermi.
Perché “c’è da fare”.
Perché “è così che si lavora”.
Perché “ormai ci siamo dentro”.

Ma fermarsi (anche solo un minuto) per capire dove sei, come stai, e cosa stai facendo davvero… è già un atto rivoluzionario.
E sì, si chiama consapevolezza.
Perché diciamocelo: non si può guidare davvero gli altri se prima non si è consapevoli di come si guida se stessi.

Essere consapevoli significa fermarsi un attimo e chiedersi:

Come sto?

Perché sto reagendo così?

Che impatto ha il mio comportamento sugli altri?

Non è introspezione fine a sé stessa. È la base invisibile di ogni buona leadership.
Un leader consapevole sa quando è centrato e quando è fuori fase. Sa cosa lo motiva, cosa lo fa perdere la bussola, e cosa lo riporta al timone. E solo da lì, può davvero mettersi al servizio del team.
Abbiamo parlato di ascolto, fiducia, confronto autentico.
Ma oggi facciamo un salto in avanti: cosa succede quando questa collaborazione funziona davvero?
Succede che si crea spazio. Spazio per dire cose nuove, per provare strade non battute, per giocare con le idee.
In una parola: creatività.

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QUANDO LA CONSAPEVOLEZZA INCONTRA IL FLOW

Ci sono leader che sanno tutto: strategie, numeri, strumenti. Ma quando si tratta di guidare le persone, spesso inciampano su qualcosa di molto più semplice — e molto più profondo: la consapevolezza di sé.

Perché diciamocelo: non si può guidare davvero gli altri se prima non si è consapevoli di come si guida se stessi.

Essere consapevoli significa fermarsi un attimo e chiedersi:

Come sto?

Perché sto reagendo così?

Che impatto ha il mio comportamento sugli altri?

Non è introspezione fine a sé stessa. È la base invisibile di ogni buona leadership.
Un leader consapevole sa quando è centrato e quando è fuori fase. Sa cosa lo motiva, cosa lo fa perdere la bussola, e cosa lo riporta al timone. E solo da lì, può davvero mettersi al servizio del team.
Abbiamo parlato di ascolto, fiducia, confronto autentico.
Ma oggi facciamo un salto in avanti: cosa succede quando questa collaborazione funziona davvero?
Succede che si crea spazio. Spazio per dire cose nuove, per provare strade non battute, per giocare con le idee.
In una parola: creatività.

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ESSERE CREATIVI CON IL FLOW

Negli scorsi articoli ci siamo immersi nel mondo della collaborazione: abbiamo visto com’è fatta, cosa la nutre, come si distingue da quella versione “tutti amici in pausa caffè” che spesso viene confusa con il vero lavoro di squadra.

Abbiamo parlato di ascolto, fiducia, confronto autentico.
Ma oggi facciamo un salto in avanti: cosa succede quando questa collaborazione funziona davvero?
Succede che si crea spazio. Spazio per dire cose nuove, per provare strade non battute, per giocare con le idee.
In una parola: creatività.

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I 5 NEMICI INVISIBILI DELLA COLLABORAZIONE

Tutti parlano di collaborazione. È sulla bocca dei manager, sulle pareti degli open space, nei valori aziendali e perfino nei badge dei convegni: “teamwork”, “co-creazione”, “insieme si va più lontano”.

Poi entri davvero in azienda, e spesso scopri che si lavora affiancati, ma non insieme. Che la comunicazione è un ping pong di mail in copia conoscenza. Che si fa prima a farsi le cose da soli che coinvolgere altri. E che le “riunioni collaborative” assomigliano a un monologo sotto anestesia.

La verità è che la collaborazione – quella vera – è fragile.
E ci sono nemici invisibili che, giorno dopo giorno, la logorano. Non si presentano alla porta, ma agiscono in silenzio, in profondità.
Ecco i cinque più pericolosi.

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