ARTICOLO DEL BLOG:

DARE SIGNIFICATO
AL LAVORO

L’obiettivo di un’azienda dovrebbe essere quello di far lavorare insieme un gruppo di persone per realizzare un obiettivo comune.

L’obiettivo di un’azienda dovrebbe essere quello di far lavorare insieme un gruppo di persone per realizzare un obiettivo comune.

Realizzare questo intento è possibile anche attraverso lo schiavismo e la corruzione ma trovare delle modalità più etiche e che permettano ai collaboratori di dare significato al lavoro permette di creare ambienti lavorativi dove le persone possano realizzarsi pienamente.

Non dovrebbe essere difficile spingere le persone a lavorare, il corpo umano è costruito proprio per questo scopo.

Un individuo funziona al meglio quando è profondamente coinvolto in un compito e realizzare un lavoro ben fatto ci lascia una sensazione piacevole di benessere e soddisfazione.

Dato questo assunto risulta interessante riflettere sul fatto che molti lavoratori considerano il proprio lavoro un sacrificio, un prezzo da pagare per vivere e aspettano ansiosamente i momenti in cui, terminato l’orario lavorativo possono dedicarsi a ciò che veramente amano.

La risposta che viene spontanea è che seppure l’uomo sia progettato per lavorare, la maggior parte dei posti di lavoro non sono progettati per mettere i dipendenti nelle condizioni per esprimersi al meglio ma semplicemente per ottenere da loro il massimo risultato.
Difficilmente un lavoratore riuscirà a dare significato al proprio lavoro se percepisce di essere considerato al pari di un macchinario o di uno strumento di produzione.

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CHE COSA È IL SENSO DI SIGNIFICATO

Normalmente si intende con questa locuzione la sensazione del lavoratore che quello che sta accadendo e quello che sta contribuendo a far accadere conti davvero, insomma l’idea che il proprio comportamento sia in grado di fare la differenza per sé stesso e per gli altri.

Il senso di significato così descritto è presupposto per provare grande coinvolgimento, sensazione di benessere e alta produttività nella propria attività. Caratteristiche queste che si identificano nello stato di Flow come descritto dal prof. Csikszentmihalyi. Proprio partendo dagli elementi che caratterizzano il Flow si possono individuare 3 macro aree di attivatori della prestazione ottimale:

  • Chiarezza degli obiettivi. In questa area si riconoscono elementi come la chiarezza del ruolo, la comprensione e l’allineamento con gli obiettivi aziendali, l’accesso alle conoscenze e alle risorse necessarie per portare a termine il lavoro. Questi sono definibili come elementi razionali dell’esperienza di Flow e per semplificare l’analisi possiamo definirli legati al QI (quoziente intellettivo). Quando il QI di un ambiente lavorativo è basso l’energia dei lavoratori è indirizzata in modo errato e spesso va in conflitto con quella dei colleghi.


  • Feedback, comunicazione e relazioni sociali. Questa area fa riferimento alla qualità delle interazioni tra le persone coinvolte e troviamo elementi come la fiducia, il rispetto, il conflitto costruttivo, l’umorismo e la capacità di collaborare in modo efficace. Questi aspetti caratterizzano la sicurezza emozionale e sono riconducibili al famoso QE (quoziente emotivo come descritto da Goleman). Quando l’QE di un posto di lavoro è scarso, l’energia dei lavoratori si disperde sotto forma di approcci “ politici” al proprio ruolo o alla gestione del proprio Ego o all’evitamento passivo-aggressivo di tematiche “difficili”.


  • La sfida, il senso di controllo e l’automotivazione. Questa area si riferisce molto al livello di coinvolgimento e di autorealizzazione del personale. In pratica la sensazione di essere parte di qualcosa di importante e ricco di significato che va al di là del semplice ruolo. Questa terza categoria è descritta dal QM (quoziente di significato – in inglese meaning). Quando il QM dei un ambiente lavorativo è basso, i dipendenti mettono meno energia nel loro lavoro e lo vedono come “solo un lavoro” che dà loro poco più di uno stipendio.


Ci sono studi che evidenziano che ambienti con QI, QE e QM alti siano cinque volte più produttivi rispetto alla media. Proprio interventi sull’ultimo di questi indicatori sembrerebbero più sensibile a livello di prestazioni. Secondo lo stesso studio, i manager intervistati riconoscono il vero collo di bottiglia all’aumento della produttività: l’incapacità di migliorare il QM del loro ambiente lavorativo.

L’interrogativo viene spontaneo, com’è possibile aumentare il senso di significato percepito dai lavoratori?


In prima battuta la risposta a questa domanda sta nel saper innovare lo storytelling della propria azienda. Normalmente questo si occupa di raccontare quello che l’organizzazione può fare e migliorare al proprio interno (più produttività, più risultati, più efficienza). E’ necessaria un evoluzione netta e rivolgersi verso elementi esterni:

  • La società, ad esempio, creare una società migliore, costruire la comunità o gestire le risorse
  • Il cliente, ad esempio semplificando la vita e fornendo un servizio o un prodotto di qualità superiore
  • il team di lavoro, ad esempio un senso di appartenenza, un ambiente premuroso o lavorare insieme in modo efficace
  • il singolo lavoratore: esempi includono lo sviluppo personale, uno stipendio o un bonus più alto e un senso di responsabilizzazione

Per rendere più elevato il QM è necessario raccontare una storia che include questi 5 elementi perché proprio da un giusto mix di questi si riescono a toccare tutte le corde motivazionali delle persone.

Immaginiamo si voglia far partire un percorso di cambiamento culturale.

La resistenza al cambiamento potrebbe proprio provenire da un basso QM, i dipendenti non riescono a percepire il significato del cambiamento. Le strategie più comuni per vincere questa resistenza fanno spesso riferimento a i vantaggi che trarrebbe l’azienda nel suo complesso (più utili, più volumi, immagine migliore).

Per innalzare il QM sarebbe più utile prospettare uno scenario che tocchi anche l’impatto sociale  (si veda per esempio il caso Patagonia trattato qualche settimana fa), sui clienti (maggiore semplicità, meno errori più efficienza, prezzi più competitivi), sul team di lavoro (meno lavoro ridondante, più responsabilizzazione, più snellezza organizzativa), sugli individui (lavori più attraenti e sfidanti, possibilità di carriera, compensi più elevati) che questo cambiamento potrebbe generare.

I leader che vogliono migliorare il QM del proprio ambiente dovranno pertanto dimostrare alte capacità di storytelling e di creazione di una visione estesa dello scenario nel quale l’azienda stessa opera. In questo modo per i lavoratori sarà molto più semplice dare significato al lavoro.

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QUANDO LA CONSAPEVOLEZZA INCONTRA IL FLOW

Ci sono leader che sanno tutto: strategie, numeri, strumenti. Ma quando si tratta di guidare le persone, spesso inciampano su qualcosa di molto più semplice — e molto più profondo: la consapevolezza di sé.

Perché diciamocelo: non si può guidare davvero gli altri se prima non si è consapevoli di come si guida se stessi.

Essere consapevoli significa fermarsi un attimo e chiedersi:

Come sto?

Perché sto reagendo così?

Che impatto ha il mio comportamento sugli altri?

Non è introspezione fine a sé stessa. È la base invisibile di ogni buona leadership.
Un leader consapevole sa quando è centrato e quando è fuori fase. Sa cosa lo motiva, cosa lo fa perdere la bussola, e cosa lo riporta al timone. E solo da lì, può davvero mettersi al servizio del team.
Abbiamo parlato di ascolto, fiducia, confronto autentico.
Ma oggi facciamo un salto in avanti: cosa succede quando questa collaborazione funziona davvero?
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ESSERE CREATIVI CON IL FLOW

Negli scorsi articoli ci siamo immersi nel mondo della collaborazione: abbiamo visto com’è fatta, cosa la nutre, come si distingue da quella versione “tutti amici in pausa caffè” che spesso viene confusa con il vero lavoro di squadra.

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I 5 NEMICI INVISIBILI DELLA COLLABORAZIONE

Tutti parlano di collaborazione. È sulla bocca dei manager, sulle pareti degli open space, nei valori aziendali e perfino nei badge dei convegni: “teamwork”, “co-creazione”, “insieme si va più lontano”.

Poi entri davvero in azienda, e spesso scopri che si lavora affiancati, ma non insieme. Che la comunicazione è un ping pong di mail in copia conoscenza. Che si fa prima a farsi le cose da soli che coinvolgere altri. E che le “riunioni collaborative” assomigliano a un monologo sotto anestesia.

La verità è che la collaborazione – quella vera – è fragile.
E ci sono nemici invisibili che, giorno dopo giorno, la logorano. Non si presentano alla porta, ma agiscono in silenzio, in profondità.
Ecco i cinque più pericolosi.

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COLLABORAZIONE ASSENTE? ECCO IL SUO COSTO

Parlare di collaborazione può sembrare una questione “soft”. Una di quelle cose belle da avere, ma non proprio vitali, come la ciliegina sulla torta.
Eppure… quando manca, non è solo la ciliegina a saltare, ma tutta la torta rischia di sbriciolarsi.

Perché quando un team non collabora, l’azienda comincia a perdere. Soldi veri.
E la cosa peggiore è che non si vede subito. Non c’è una fattura con scritto:

“Mese di maggio: -3.000€ per conflitti e silenzi in riunione”
ma il costo c’è. Eccome se c’è.

Vediamo i principali danni che si innescano quando la collaborazione va in crisi, con qualche dato preso da ricerche e fonti autorevoli.

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CAPOLEADER SOSTIENE MAKE-A-WISH

CapoLeader crede che il benessere, la motivazione e il senso profondo di realizzazione – ciò che chiamiamo Flow – non debbano essere un privilegio per pochi.

Per questo abbiamo deciso di donare l’1% del nostro fatturato a Make-A-Wish Italia, l’organizzazione che ogni giorno realizza i desideri di bambini affetti da gravi malattie, restituendo loro speranza, forza e gioia.

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TEAM FLOW: L’ARMONIA CHE FA LA DIFFERENZA

Hai mai vissuto un momento sul lavoro in cui nessuno controlla l’orologio, la chat aziendale è stranamente silenziosa (ma non perché siete tutti su LinkedIn), e le idee viaggiano come palline di ping pong tra colleghi sorridenti?

Ecco: benvenuto nel Team Flow, quel raro ma potentissimo stato in cui il tuo gruppo lavora così bene che potrebbe tranquillamente scrivere un album da Grammy… anche se state facendo una relazione su Excel.

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