LE OLIMPIADI E LA LEADERSHIP
“Non penso voi abbiate realizzato quanto sia pericoloso ciò che mi è successo, e neppure devo spiegarvi perché la mia salute sia al primo posto. La salute fisica è anche salute mentale. È onestamente pietrificante provare a utilizzare il proprio talento quando la tua mente e il tuo corpo non sono sincronizzati.” Questo è quello che Simone Biles, la ginnasta superstar statunitense, ha detto mentre spiegava la propria decisione di abbandonare le finali di Tokyo 2020. La sua frase e il suo abbandono hanno sconvolto gli spettatori delle Olimpiadi e ha lanciato una discussione circa la salute mentale degli atleti.
Le Olimpiadi di Tokyo con il motto “Più veloce, più alto, più forte – insieme” è stato il terreno di cambiamenti profondi in molti aspetti della società, salute mentale inclusa. La fotografia è stata ancora più nitida quando la tennista giapponese Naomi Osaka, che è scesa in campo nella lotta per sensibilizzare il tema della salute mentale, ha acceso la fiamma olimpica. Un disagio mentale nasce dal seme delle alte aspettative e lo scenario peggiora quando le stesse si innalzano a causa del numero elevato di risultati conseguiti nel passato.
La psicologia umana di base spinge ad aumentare la pressione sulle persone quando raggiungono dei alti risultati e successo al contrario di dimostrare compassione nel momento in cui si fallisce. Comunque, le olimpiadi ci hanno insegnato il corretto significato dello spirito sportivo e la compassione, ripetutamente attraverso diversi incidenti. Gli atleti hanno preso il più grande evento sportivo del mondo oltre la pura competizione.
Nella semifinale degli 800 metri maschili, gli atleti Nijel Amos del Botswana e Isaiah Jewett degli Usa sono caduti a terra aggrovigliandosi, con la contemporanea eliminazione di entrambi. Ciononostante, invece di esprimere frustrazione, hanno lasciato la pista insieme sorridenti, dopo essersi aiutati a vicenda a rimettersi in piedi.
Gli atleti olimpici ci hanno insegnato a trattarci come compagni di squadra piuttosto che rivali. Hanno creduto in una sana competizione piuttosto che nell’inimicizia. Forse è proprio questo che non hanno mai mancato di conquistare milioni di cuori con i loro atti di compassione. La finale del salto in alto è finita con un incredibile immagine di condivisione della medaglia d’oro, con Mutaz Barshim del Qatar che è andato dai commissari a chiedere se potessero esserci due medaglie d’oro ed ha deciso di condividere la vittoria con il suo amico Giammarco Tamberi.
Nella lotta per una medaglia d’oro, gli atleti ci hanno impartito delle lezioni di vita. Oltra a mostrarci il percorso verso l’illuminazione ci hanno insegnato anche la dedizione. L’approccio della fondista olandese Sifan Hassan ci ha fatto imparare che non ci sono ostacoli tra una persona dedita al suo scopo e i suoi obiettivi. Nel corso dell’infuocata gara dei 1500 metri la campionessa del mondo è caduta e ruzzolata sulla pista ma si è rialzata ed ha terminato con una vittoria. La sua attitudine a non darsi per vinta si riflette nel suo duro lavoro. Un coach può guidarci ai nostri obiettivi illuminandoci con le sue tecniche, ma la dedizione e la compassione devono essere presenti. Gli atleti olimpici testimoniano che non c’è nulla oltre l’umanità, non importa cosa, e che dobbiamo imparare ad accettare i nostri difetti e lavorare su questi invece di creare inimicizia con i nostri colleghi.
Dedizione e compassione che permettono di entrare nel Flow, dare senso a quello che facciamo e di allontanare i disagi e le paure.
In qualità di leader riconosci queste due qualità nel tuo operato?
I tuoi interlocutori e collaboratori entrano in Flow?
Ricordati che il coinvolgimento e il benessere lavorativo sono le fondamenta per costruire prestazioni e risultati eccezionali!
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