ARTICOLO DEL BLOG:

I 10 SINTOMI DI UNA LEADERSHIP
CHE NON FUNZIONA

Vediamo i 10 errori più comuni che, spesso involontariamente, fanno del male al proprio team e alla propria azienda.

Ricoprire un ruolo di leadership non è facile.

Spesso si rischia di andare incontro ad almeno uno dei 10 sintomi di una leadership che non funziona.

Rendersi conto che ci sono degli aspetti da migliorare è il primo passo verso una leadership efficace.

Vediamo i 10 errori più comuni che, spesso involontariamente, fanno del male al proprio team e alla propria azienda.

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DIFFICOLTÀ NELLA GESTIONE DEL TEMPO E DELEGA

I leader che non riescono a gestire il proprio tempo tendono ad accentrare tutto il lavoro su di loro.

 Percepiscono tutte le attività come urgenti, senza rendersi conto che in questo modo non stanno dando priorità a niente.

La conseguenza principale è l’incapacità di delegare ai propri collaboratori alcune di queste attività o fare del micro-management senza lasciar loro lo spazio e la libertà di agire.

Un leader di questo tipo tende a subire lo stress derivante dall’incapacità di far fronte alle scadenze e costantemente si lamenta del poco tempo che ha a disposizione

MANCANZA DI INTELLIGENZA EMOTIVA

L’intelligenza emotiva è la capacità di un leader di riconoscere e gestire le proprie emozioni e quelle dei propri collaboratori.

Quando non comprendiamo le nostre reazioni e non siamo in grado di controllarle, non le riconosciamo nemmeno negli altri.

 Questa mancanza può essere pericolosa per le dinamiche di un gruppo di lavoro e può generare livelli di coinvolgimento scarsi e turnover elevati, con i relativi costi legati alla ricerca e all’ingresso di nuovo personale.

Questo spesso provoca sbalzi emotivi sensibili, con eccesso di rabbia, entusiasmo, pessimismo e incapacità di entrare in empatia con i collaboratori.

MANCANZA DI FEEDBACK

Il feedback è uno strumento prezioso perché ci permette di migliorare continuamente le nostre performance, ma in molte aziende questo si riduce ad un incontro annuale tra capo e collaboratore, senza che questo venga accompagnato da una rilevazione regolare e quotidiana di eventuali problematiche.

Oppure viene dato nel modo sbagliato, concentrandosi su un giudizio altamente soggettivo, rimanendo generici e senza entrare nello specifico di cosa effettivamente vada corretto, o ancora, viene dato nel setting e nel momento sbagliato.


Questo vale anche per il feedback di apprezzamento, infatti molti leader danno per scontato che, quando le cose vanno bene, le persone abbiano semplicemente fatto il loro dovere.

Saper mettere in evidenza ciò che funziona, tanto quanto quello che va migliorato o modificato, è essenziale per una buona leadership. I leader che hanno difficoltà nel dare i feedback ai propri collaboratori spesso non lo richiedono loro stessi e si lamentano per la mancanza di feedback.

STILE AUTORITARIO

Un leader autoritario è focalizzato sulle mansioni da svolgere, è controllante, orientato verso il potere, coercitivo e punitivo, ha una mentalità chiusa ed è arbitrario nelle decisioni.

È una persona che pretende obbedienza, lealtà e si aspetta che tutti rispettino le regole alla lettera.


Uno stile di leadership autoritaria può essere efficace sul breve periodo, per affrontare una crisi, per dare via ad una svolta, per smuovere collaboratori problematici e in tutte le situazioni di emergenza dove il leader deve dare direttive precise, ma sul lungo periodo questa tipologia di leadership può impattare in modo molto negativo sul clima organizzativo.

Un leader autoritario è poco propenso all’ascolto e tende a lamentarsi del fatto che i collaboratori non lo seguono nelle modalità da lui richieste.

OSTACOLARE IL CAMBIAMENTO

I cambiamenti possono spaventare, ma sono essenziali per continuare ad esistere.

Uscire dalla propria zona di comfort e aprirsi verso l’esterno è la strategia vincente per rimanere competitivi sul mercato.

Molti leader nascondono le proprie insicurezze dietro alla frase tossica “Abbiamo sempre fatto così”.

Agire secondo metodi che si sono automatizzati nel corso del tempo è un modo attraverso il quale le persone riconoscono sé stesse e il proprio operato, si identificano in un dato metodo di lavoro e la richiesta di cambiare appare come l’accusa di aver sempre lavorato nel modo sbagliato.

Spesso i leader che ostacolano il cambiamento si sentono sotto accusa e considerano il cambiamento un attacco personale e tendono a non vedere le mutate esigenze e aspettative dell’ambiente circostante.

COMUNICAZIONE NON EFFICACE

Un buon leader deve comunicare efficacemente con i propri collaboratori al fine di creare un ambiente di lavoro coinvolgente, sano e basato sulla fiducia.

La comunicazione diventa inefficace quando il leader non è assertivo, non espone in modo chiaro gli obiettivi del team o sceglie delle forme comunicative non adatte, che non tengano conto del destinatario, del tempo a disposizione, dell’emotività del messaggio, del grado di interazione necessario e della quantità di dettagli da trasmettere.

 I leader che non comunicano efficacemente tendono a dare la responsabilità del difetto di comunicazione all’interlocutore e si lamentano per la mancanza di ascolto e comprensione.

MANCANZA DI MOTIVAZIONE E COINVOLGIMENTO

I leader demotivati non sono consapevoli delle proprie leve motivazionali e non riescono a trasformare le sfide lavorative in qualcosa di stimolante, di conseguenza non riescono a creare il giusto coinvolgimento nei propri collaboratori.

Questi leader trasmettono demotivazione ai propri collaboratori e dimostrano in ogni occasione alti livelli di pessimismo, tendono ad accusare gli altri per la mancanza di coinvolgimento e hanno difficoltà a cogliere opportunità e sfide.

CULTURA DEL LAMENTO

Molte volte quando c’è qualche problema, i leader danno la colpa a fattori esterni e pensano di non avere la responsabilità di ciò che accade.

Questi pensieri sono tipici della cultura aziendale del lamento, quando capita qualche evento negativo tendono ad incolpare gli altri o trovare una causa che sia esterna. I leader di questo tipo non credono di avere il controllo di ciò che accade e pensano che gli eventi siano il risultato di fattori non gestibili, come il destino e la fortuna.

Il lamento diventa una difesa contro le proprie responsabilità e sfocia spesso in attacchi nei confronti dei collaboratori.

SOSTITUIRSI AI PROPRI  COLLABORATORI

Molte volte i leader tendono a sostituirsi ai propri collaboratori alla prima difficoltà, per mancanza di tempo o perché pensano di aiutarli svolgendo il compito al posto loro.

Non ne favoriscono il processo di crescita e non lasciano lo spazio necessario per provare, sbagliare e imparare dai propri errori. Difficilmente i collaboratori di questa tipologia di leader non riescono a diventare loro stessi leader in quanto non sono abituati a prendersi in carico le responsabilità del loro ruolo.

Questo approccio può avere come conseguenza la mancanza di percorsi di crescita interna dei people leader, quando è necessario promuovere un leader si preferisce cercarlo all’esterno dell’azienda.

NON ACCETTARE ERRORI

Creare un contesto in cui l’errore è visto come qualcosa di negativo, porta alla paralisi dell’azienda.

I leader che non accettano gli errori creano un clima in cui le persone, per paura, non sperimentano, non sono creative, non provano cose nuove.

Tutti cercheranno di rimanere nella loro zona di comfort, perché uscire da questa e portare innovazione è visto come rischioso. Riconosciamo questo approccio quando costantemente vengono ripresi i collaboratori che si assumono dei rischi e commettono degli errori.

Si tende a colpevolizzare e non si evidenzia l’apprendimento generato dall’esperienza vissuta.

Hai riconosciuto alcuni di questi sintomi nei leader della tua azienda?

Per aiutarti ad avere una consapevolezza migliore di come viene esercitata la leadership nel tuo contesto lavorativo abbiamo creato un test di autovalutazione che ti permetta di avere una panoramica sul livello di maturità dei vostri people leader.

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ARTICOLI DEL BLOG

LA FORMAZIONE ESPERIENZIALE CHE FUNZIONA: 5 STRUMENTI CHE LE AZIENDE EVOLUTE STANNO GIÀ USANDO

C’è un momento in cui chi si occupa di HR si ferma, guarda il calendario formativo dell’anno e pensa:
“Ok, ma tutto questo produce davvero un cambiamento… o stiamo solo spuntando caselle?”

È una domanda legittima, anzi necessaria.
Perché oggi le persone non vogliono più formazione “che si ascolta”: vogliono formazione che si vive, che li coinvolga, che li faccia ragionare, scegliere, sbagliare e riprovare.
E le aziende più evolute hanno già fatto il salto: stanno usando strumenti esperienziali che trasformano la formazione in un vero laboratorio di crescita.

In questo articolo te ne porto 5, quelli che oggi stanno facendo davvero la differenza.
Non effetti speciali.
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Ma strumenti concreti, che funzionano quando servono, per chi servono e con un impatto chiaro.

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OLTRE L’AULA: GLI STRUMENTI CHE STANNO RISCRIVENDO LA FORMAZIONE AZIENDALE

La classica formazione d’aula—slide, coffee break, “domande?”—non basta più.
Non perché sia sbagliata, ma perché è solo una fetta del modo in cui realmente impariamo.

E qui arriva la parte interessante: il 70% delle competenze nasce fuori dall’aula, nel lavoro quotidiano, nei problemi da risolvere, nelle relazioni, negli errori e negli aggiustamenti continui. Quel 70% che nessun corso frontale può replicare da solo.

Oggi stiamo vivendo una piccola rivoluzione silenziosa: la formazione non è più un evento, è un ecosistema.

Ti portiamo dentro questo cambiamento.

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HR CHE VENDONO: IL SEGRETO PER HR STRATEGICI

Nel mondo HR c’è un grande equivoco che resiste da anni: “Io non vendo”.

Eppure, ogni giorno, ogni professionista HR — dal recruiting alla formazione, dal people development al welfare — vende qualcosa. Solo che non sono prodotti fisici: vendono idee, progetti, cambiamento, investimenti nelle persone.

Quando manca la preparazione alla vendita, i risultati sono evidenti: le iniziative HR faticano a partire, la direzione rimanda, i manager non si ingaggiano e il budget si assottiglia.

Tranquillo, non si tratta di vendere stile porta a porta, con l’HR che spinge il manager a comprare tutto subito o — con rispetto per i venditori di aspirapolvere — a dire “sì” senza pensarci.

Perché, allora, la vendita è così importante anche per chi non “vende” prodotti?

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NON IMPARIAMO PIÙ COME UNA VOLTA:IL VERO OSTACOLO NON SEI TU

Dire che “le persone non imparano più” è una scorciatoia che non racconta tutta la verità. Il problema non è la motivazione, né le capacità individuali: è il contesto che non è progettato per far emergere le competenze già presenti.

Anche professionisti brillanti, motivati ed esperti faticano ad apprendere qualcosa di nuovo, non perché non ne siano capaci, ma perché non hanno spazio mentale sufficiente.

È il grande paradosso dell’apprendimento negli adulti: pieni di possibilità, ma poveri di energie cognitive.

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NOVITA’: MASTER IN HR LEARNING AND DEVELOPMENT

Nel nostro Trattato semiserio sull’apprendimento, avevamo lasciato un punto fermo: il cervello non ama le lezioni frontali.
Non perché sia pigro (anche se a volte lo sembra), ma perché è programmato per imparare facendo, sperimentando, emozionandosi.

La verità è che la nostra mente si annoia con le slide ma si accende con le sfide.
Non memorizza formule astratte, ma ricorda esperienze vissute.
E qui entra in gioco — letteralmente — la gamification: l’arte di usare meccaniche di gioco per attivare apprendimento, motivazione e coinvolgimento.

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IMPARARE GIOCANDO: LA NUOVA FRONTIERA DELLA LEADERSHIP

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