VOCAZIONE LAVORATIVA
La psicologa Amy Wrzesniewski e i suoi colleghi fanno notare che le persone percepiscono la propria attività lavorativa in uno dei tre seguenti modi come lavoro, come carriera o come vocazione.
Il lavoro come routine focalizzata su un tornaconto di tipo economico invece che su una soddisfazione personale. Il soggetto si reca al lavoro ogni mattina primariamente perché sente di doverlo fare, non perché vuole. Non ha nessuna reale aspettativa nei confronti del lavoro oltre a quella dello stipendio a fine mese e, per lo più, aspetta ansiosamente l’arrivo del venerdì o il periodo di ferie.
Chi invece insegue la carriera è motivato principalmente da fattori estrinseci, come i soldi e l’aumento di potere e prestigio. Attende la promozione successiva, il prossimo avanzamento nella gerarchia – da associato a professore di ruolo, da insegnante a preside, da vice-presidente a presidente, da aiuto redattore a caporedattore.
Chi invece vede il proprio lavoro come una vocazione lo percepisce come un fine in sé. Anche se lo stipendio è certamente importante e la carriera anche, lavora in primo luogo perché vuole farlo. E’ motivato da ragioni intrinseche e sperimenta un senso di soddisfazione personale, i suoi obiettivi sono autoconcordanti. Si appassiona a ciò che fa e ne risulta appagato; percepisce il lavoro come un privilegio anziché come un compito noioso e probabilmente avrà facilità ad entrare in Flow
Percepisci la tua attuale attività lavorativa come lavoro, carriera o vocazione?
Poniti la stessa domanda relativamente ad altre attività svolte in passato.
Il modo in cui ti predisponi all’attività lavorativa ha conseguenze per il tuo benessere nella tua professione e in altri aspetti della tua vita.
“La soddisfazione nella vita e sul lavoro possono dipendere di più da come il lavoratore valuta la propria attività, piuttosto che dal salario o dal prestigio dell’occupazione”.
Wrzesniewski
Mai come oggi è necessario uno sforzo deciso e consapevole per trovare la tua vocazione, perché probabilmente sei stato incoraggiato a ricercare ciò che fai meglio, invece che ciò che vuoi veramente fare.
Se pensiamo ad un colloquio di selezione le domande sono sempre incentrate sulle nostre capacità invece che sulle nostre passioni. La domanda principale sembra dunque non essere “Cosa posso fare?” incentrata su aspetti come soldi e approvazione esterna ma “Cosa voglio fare?” incentrata invece più sul concetto di benessere e felicità.
Qualcuno potrebbe obiettare che non sempre si può scegliere il lavoro ideale e molto spesso il nostro lavoro è poco remunerativo in termini di gratificazione intrinseca. Sempre lo studio della psicologa Wrzesniewski dimostra il contrario.
Lo studio è stato condotto su degli addetti alle pulizie degli ospedali, un gruppo di impiegati vedeva la propria attività come semplice lavoro (noioso e privo di significato) mentre un altro gruppo la considerava impegnativa e piena di significato. Il secondo gruppo ha modellato il proprio lavoro in maniera creativa. Queste persone si sono impegnate in una maggiore interazione con le infermiere, con i pazienti e le persone che andavano a trovarli, assumendosi la responsabilità di far star meglio i pazienti e lo staff ospedaliero. Sono così riusciti a guardare al proprio ruolo in maniera più ampia e hanno trovato il vero significato: non stavano semplicemente rimuovendo la spazzatura ma stavano contribuendo al benessere dei pazienti e al funzionamento dell’ospedale.
Il modo in cui viene percepito il nostro lavoro fa veramente la differenza, gli inservienti ospedalieri che pensano di fare la differenza sono più felici dei dottori che non vivono il loro lavoro come significativo.
Come puoi plasmare la tua attuale attività per trarne significato? Quali cambiamenti puoi introdurre?
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