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SEI INSODDISFATTO
DEL TUO LAVORO?

Secondo un sondaggio condotto da Gallup solo il 4% degli italiani si sente appagato e felice del proprio lavoro

Secondo un sondaggio condotto da Gallup solo il 4% degli italiani si sente appagato e felice del proprio lavoro. Questo vuol dire che 96 persone su 100 si sentono insoddisfatte, demotivate o infelici al lavoro. Infatti, se ci guardiamo intorno il mattino in metropolitana o in treno, possiamo notare che la maggior parte delle persone non sembrano felici o entusiaste per la giornata lavorativa che li aspetta. Spesso non è facile definire i fattori precisi che ci rendono infelici, così abbiamo preparato un elenco di possibili cause di insoddisfazione.
E tu sei insoddisfatto del tuo lavoro?

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insoddisfatto al lavoro

E TU SEI INSODDISFATTO DEL TUO LAVORO?

  1. Mancanza di sfide: le persone possono sentirsi annoiate e sotto-utilizzate se il lavoro diventa monotono e privo di sfide, il che può portare a una perdita di interesse e motivazione.

  2. Assenza di riconoscimento: La mancanza di feedback positivo e di ricompense per i risultati ottenuti può far sentire ai dipendenti che i loro sforzi non sono apprezzati o riconosciuti.

  3. Scarso equilibrio tra sforzo e ricompensa: Se i dipendenti sentono di investire più energia e impegno di quanto ricevano in termini di salario, opportunità di crescita o riconoscimento, possono diventare demotivati.

  4. Assenza di significato: se i lavoratori non riescono a vedere il significato o l’importanza della loro attività all’interno dell’organizzazione, possono perdere la motivazione a impegnarsi.

  5. Ambiente di lavoro tossico: Un ambiente di lavoro caratterizzato da conflitti, discriminazione, bullismo o mancanza di collaborazione può avere un impatto negativo sulla motivazione e sul benessere dei dipendenti.

  6. Mancanza di controllo: quando i dipendenti non hanno la possibilità di influenzare le decisioni che riguardano il proprio lavoro o non possono prendere decisioni autonome, possono sentirsi privi di potere e poco motivati.

  7. Difficoltà nella gestione vita-lavoro: una delle cause di demotivazione può essere la difficoltà nel definire i confini tra il lavoro e la vita personale o una corretta pianificazione delle proprie attività.

  8. Obiettivi irraggiungibili: L’assegnazione di obiettivi troppo ambiziosi o irrealistici può portare a sensazioni di frustrazione e demotivazione quando i dipendenti non riescono a raggiungerli.

  9. Paura del fallimento: spesso nelle aziende è diffusa una cultura di non tolleranza del fallimento e dell’errore, considerandoli come insuccesso invece che come opportunità di apprendimento e crescita.

  10. Paura del cambiamento: il lavoro è spesso considerato come una delle fonti principali di sicurezza, poichè garantisce una stabilità economica e un riconoscimento sociale. Ma quando non ci sentiamo più allineati ad esso, a volte, può risultare difficile prendere coraggio e lasciarlo per trovarne uno che ci appaghi maggiormente. Rimaniamo ancorati ad una situazione che non ci fa stare bene solo per paura di quello che potrebbe succedere cambiando.
insoddisfatto del proprio lavoro

PER RIASSUMERE

Per riassumere, possiamo dire che queste 10 cause di insoddisfazione lavorativa possono essere categorizzate in tre aree:

  • Cause personali: comprendono tutte le situazioni in cui siamo noi stessi che ci sabotiamo o interpretiamo in un certo modo quello che capita in base alle nostre convinzioni.
  • Cause relazionali: rappresentano tutte quelle situazioni in cui il problema nasce dalla relazione diretta con i colleghi o con i superiori
  • Cause culturali: ovvero quelle dinamiche disfunzionali che fanno parte della cultura dell’azienda da molto tempo e che diventano difficili da modificare.

Alla luce di quanto emerso, sei insoddisfatto del tuo lavoro? Ti rivedi in alcune di queste situazioni?

La domanda che sorge spontanea è “C’è una responsabilità della leadership dietro queste cause di insoddisfazione?“.
Ovviamente la risposta è si!

Probabilmente ci sono delle abilità necessarie per andare incontro a questi gap che non sono state abbastanza sviluppate (le abbiamo viste nel nostro articolo sulla “nuova leadership“) e che necessitano di uno specifico allenamento. Insomma capi “incompetenti” sono causa di molte delle insoddisfazioni dei collaboratori. Approfondiremo alcune interessanti riflessioni su questo punto nelle prossime puntate della newsletter… quindi stay tuned!

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SOPRAVVIVERE ALLA CORSA PRE-FERIE SENZA STRAMAZZARE

C’è una corsa che tutti conosciamo molto bene, anche se non ci alleniamo da anni.
È la corsa finale prima delle ferie:
quella in cui pensi di chiudere tutto, incastrare ogni task, rispondere a tutte le mail e magari salvare anche il mondo… entro venerdì a mezzogiorno.

Risultato?

To do list infinita, energia a zero, e un senso di colpa latente per “non aver fatto abbastanza”.

Respira.
Hai bisogno di un nuovo punto di vista (e di una metafora che ti aiuti a rallentare con dignità).

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LEZIONI DI LEADERSHIP SOTTO L’OMBRELLONE

Caro leader,

sei quasi arrivato.
Ancora un paio di riunioni, una manciata di email, l’ultimo sprint per chiudere tutto… e poi si parte.
Destinazione: vacanza.

Hai già detto a tutti che “anche in ferie butti un occhio”, che “tanto il telefono lo tieni acceso” e magari ti sei pure infilato in valigia tre libri sul management, uno sulla leadership trasformazionale e… la solita agenda, non si sa mai.

Ma sai una cosa una cosa?
Se vuoi, quest’estate puoi imparare più cose sulla leadership di quante ne apprendi in un master.
Sul serio.

Perché la vacanza è uno dei luoghi più sottovalutati per allenare la tua consapevolezza come guida.
È lì che, togliendoti il badge e mettendoti le infradito, puoi vedere aspetti di te che di solito non noti.

Ecco cosa intendiamo.

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LA CONSAPEVOLEZZA NON RISOLVE TUTTO, MA QUASI

Hai presente quei momenti in cui ti sembra di sbattere sempre contro lo stesso muro?

Cambiano i contesti, cambiano le persone, ma certi problemi tornano puntuali come le pubblicità su YouTube.

👉 Sei sempre di corsa e finisci stremato.
👉 Provi a comunicare bene, ma ti capiscono peggio del correttore automatico.
👉 Cerchi di restare zen, ma ti parte l’embolo con la facilità di una notifica WhatsApp.

Quando succede, spesso scatta la missione: “devo trovare una soluzione”.
Spoiler: a volte non ti serve una soluzione, ma una lente di ingrandimento.
E quella lente si chiama consapevolezza.

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GUIDA- Progettare la Formazione Manageriale che Fa la Differenza

La consapevolezza è una di quelle parole che fanno un figurone nei workshop, su LinkedIn e nelle frasi motivazionali con tramonti di sfondo.
Poi però ti ritrovi a rispondere “tutto bene!” mentre nella tua testa si scatena l’apocalisse, e ti rendi conto che forse… non sei proprio così consapevole.

Nel lavoro, succede spesso: vai in automatico, macini attività, partecipi a riunioni, dici “sì certo, ci penso io” anche quando vorresti solo scappare in Alaska a fare il pastore di renne. Eppure non ti fermi.
Perché “c’è da fare”.
Perché “è così che si lavora”.
Perché “ormai ci siamo dentro”.

Ma fermarsi (anche solo un minuto) per capire dove sei, come stai, e cosa stai facendo davvero… è già un atto rivoluzionario.
E sì, si chiama consapevolezza.
Perché diciamocelo: non si può guidare davvero gli altri se prima non si è consapevoli di come si guida se stessi.

Essere consapevoli significa fermarsi un attimo e chiedersi:

Come sto?

Perché sto reagendo così?

Che impatto ha il mio comportamento sugli altri?

Non è introspezione fine a sé stessa. È la base invisibile di ogni buona leadership.
Un leader consapevole sa quando è centrato e quando è fuori fase. Sa cosa lo motiva, cosa lo fa perdere la bussola, e cosa lo riporta al timone. E solo da lì, può davvero mettersi al servizio del team.
Abbiamo parlato di ascolto, fiducia, confronto autentico.
Ma oggi facciamo un salto in avanti: cosa succede quando questa collaborazione funziona davvero?
Succede che si crea spazio. Spazio per dire cose nuove, per provare strade non battute, per giocare con le idee.
In una parola: creatività.

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TRATTATO SEMISERIO SULLA CONSAPEVOLEZZA

La consapevolezza è una di quelle parole che fanno un figurone nei workshop, su LinkedIn e nelle frasi motivazionali con tramonti di sfondo.
Poi però ti ritrovi a rispondere “tutto bene!” mentre nella tua testa si scatena l’apocalisse, e ti rendi conto che forse… non sei proprio così consapevole.

Nel lavoro, succede spesso: vai in automatico, macini attività, partecipi a riunioni, dici “sì certo, ci penso io” anche quando vorresti solo scappare in Alaska a fare il pastore di renne. Eppure non ti fermi.
Perché “c’è da fare”.
Perché “è così che si lavora”.
Perché “ormai ci siamo dentro”.

Ma fermarsi (anche solo un minuto) per capire dove sei, come stai, e cosa stai facendo davvero… è già un atto rivoluzionario.
E sì, si chiama consapevolezza.
Perché diciamocelo: non si può guidare davvero gli altri se prima non si è consapevoli di come si guida se stessi.

Essere consapevoli significa fermarsi un attimo e chiedersi:

Come sto?

Perché sto reagendo così?

Che impatto ha il mio comportamento sugli altri?

Non è introspezione fine a sé stessa. È la base invisibile di ogni buona leadership.
Un leader consapevole sa quando è centrato e quando è fuori fase. Sa cosa lo motiva, cosa lo fa perdere la bussola, e cosa lo riporta al timone. E solo da lì, può davvero mettersi al servizio del team.
Abbiamo parlato di ascolto, fiducia, confronto autentico.
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Ci sono leader che sanno tutto: strategie, numeri, strumenti. Ma quando si tratta di guidare le persone, spesso inciampano su qualcosa di molto più semplice — e molto più profondo: la consapevolezza di sé.

Perché diciamocelo: non si può guidare davvero gli altri se prima non si è consapevoli di come si guida se stessi.

Essere consapevoli significa fermarsi un attimo e chiedersi:

Come sto?

Perché sto reagendo così?

Che impatto ha il mio comportamento sugli altri?

Non è introspezione fine a sé stessa. È la base invisibile di ogni buona leadership.
Un leader consapevole sa quando è centrato e quando è fuori fase. Sa cosa lo motiva, cosa lo fa perdere la bussola, e cosa lo riporta al timone. E solo da lì, può davvero mettersi al servizio del team.
Abbiamo parlato di ascolto, fiducia, confronto autentico.
Ma oggi facciamo un salto in avanti: cosa succede quando questa collaborazione funziona davvero?
Succede che si crea spazio. Spazio per dire cose nuove, per provare strade non battute, per giocare con le idee.
In una parola: creatività.

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